Dentro alla tradizione antica di Flumeri

Cara Teresa, oggi è il 2 di Agosto di un’estate bizzarra, divisa a metà tra il caldo soffocante e giornate tipicamente primaverili. Però, resta il fatto che siamo ad Agosto e secondo la saggezza di queste terre “Austo è capo re vierno”, cioè Agosto è da considerarsi il primo mese dell’inverno. Sulle nostre colline, o peggio ancora sui nostri monti, l’estate, di fatto, è già finita.

Nuvoloni neri incombono sulle teste delle massaie, ma soprattutto su quelle dei contadini, che si affrettano a terminare gli ultimi lavori estivi. Gli uomini si affannano per ammassare la legna fuori alle masserie per sopportare il lungo inverno, mentre le donne si affrettano a trasformare i prodotti di una terra genuina e generosa, facendone conserve e scorte per i giorni più freddi.

Qui il freddo non è una spauracchio per intrepidi camminatori di passaggio, ma un compagno di vita, che si asseconda nelle giornate più buie e si esorcizza in quelle più luminose, ma pur sempre una presenza costante delle giornate irpine.

Oggi, con la mia fida Giallina, mi sono ritrovato, procedendo lungo i crinali della baronia, a Flumeri, piccolo paesino che domina la valle dell’Ufita. Da qui, la Puglia non è un’utopia, ma un passaggio obbligato verso il più noto tavoliere delle Puglie. Quella che si osserva da qui, non è la Puglia del mare, quella turistica, plasticamente adagiata tra scogli e sabbia, bensì una propaggine dell’Irpinia d’Oriente. Sono terre d’altura, queste, segnate dalla transumanza, dal passo di camminatori antichi, che le percorrevano con le caligole, segnate dalla saggezza popolare e dalla fatica immane, di chi queste terre le ha sapute scolpire, rendendole visivamente piacevoli e pittoricamente colorate, almeno agli occhi scrutatori dei più attenti.

Qui il Genius Loci, non è più un entità astratta, ma si incarna nelle pieghe di una terra che ha saputo generare ricchezza e benessere per chi l’ha saputa amare. E sempre qui, la ruvida flemma dei contadini, ha ceduto lo spazio alla brillante dinamicità dei filosofi dell’arte più moderna. Passando per un quadrivio la mia attenzione è stata attratta da un murales, che rappresentava un carro accerchiato da un gruppo di persone, concentrate nel gesto del sollevarlo.

Un totem moderno, una figura fallica ante litteram, uno strumento propiziatorio di abbondanza e benessere. Fermo subito la mia Giallina. La visione è troppo succulenta per non approfondire la faccenda. Stanno lavorando alla realizzazione del carro, che qui porta il nome di Giglio. La grossa intelaiatura è distesa su un lato, come un gigante che dorme. Alla punta dei pezzi di paglia sporgono come i baffi di un gatto.

È la stilizzazione del sole, sotto al quale sventola la bandierina di San Rocco, il santo che protesse il paese da una pestilenza del passato. Lungo tutta la lunghezza del Giglio ci sono pannelli di varia forgia e colore, fatti di paglia intrecciata e spighe di grano, che abbelliscono l’obelisco e rendono onore al santo.

Intorno un nugolo di ragazzi che lavorano alla realizzazione delle pannellature, che separano le spighe dalla paglia, che mettono la paglia in bacinelle piene d’acqua, affinché la stessa possa essere intrecciata senza che si spezzi. La Sapienza antica di mischia con la voglia di imparare dei giovani e così ho trovato un paese in cui i maestri artigiani del giglio, trasmettono ai ragazzi le tecniche e la manualità necessarie per realizzare una vera e propria opera d’arte.

Basilio Russo e Raffaele Steriti, rispondono con serietà alle mie domande, da uomo di passaggio curioso, soddisfacendo la mia infinita voglia di conoscenza di un mondo che non finisce mai di stupirmi. E allora mi portano nel laboratorio della scuola, dove nel corso degli anni sono stati realizzati dei Gigli più piccoli, dove si modellano le pannellature, dove si conservano i pezzi più belli del passato, quelli che vanno preservati per un futuro museo della memoria.

E così mi sono sentito dentro alla storia di una comunità che ha fatto dell’accoglienza una propria missione e dell’insegnamento ai ragazzi una ragione di vita. Raffaele si affretta a farmi dono di un calendario delle attività e di un libricino, introvabile, con la storia del Giglio, che fino agli anni 80 era poco più che un palo con dei rami molto simile ad un albero di Natale.

Oggi il Giglio rappresenta, ancora una volta, un elemento di continuità con le comunità pagane del passato, che utilizzavano quegli strumenti come elementi visivi di riti propiziatori, atti a produrre abbondanza, e benessere in un periodo dell’anno molto delicato, in cui ci si preparava per le celebrazioni dei riti del fuoco, quelli che avrebbero permesso, ancora una volta, al Sol Invictus di vincere sulle tenebre, portando ancora luce e benessere per l’intera comunità. Riprendo Giallina, e me ne vado, con la promessa di tornare il 15 agosto, di sera, per la tirata del carro. 

Pubblicato da Giuseppe Tecce

Scrittore di saggi e romanzi

2 pensieri riguardo “Dentro alla tradizione antica di Flumeri

  1. Caro Giuseppe,

    hai colto con sensibilità lo spirito del luogo – il Genius Loci – e sei riuscito a restituirlo con uno sguardo lucido ma affettuoso, intrecciando osservazione partecipante e riflessione critica. Ne emerge un elogio alla resilienza rurale, alla pedagogia del fare e a un modello di sviluppo che valorizza identità e sostenibilità, resistendo all’omologazione.Il tuo scritto rappresenta a pieno titolo un contributo prezioso alla letteratura di comunità e meriterebbe spazio in contesti accademici dedicati all’antropologia culturale, alla sociologia delle tradizioni e agli studi sul patrimonio locale. In un’epoca di rapide dissoluzioni, ci mostri come si può costruire futuro partendo dalla memoria.

    Con stima,

    Rosa Bianco – lettrice attenta alla forma e al senso della tradizione

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  2. Grazie Rosa per la tua lettura e per il tuo seguire il mio lavoro, cominciato, oramai anni fa, che mi ha portato a scavare, sia pure con fatica, nei riti, nelle tradizioni e nelle posture di una certa parte del territorio Irpino. Un lavoro duro e faticoso che trovò la prima casa nel mio libro va L’agente della Terra di Mezzo. Invito te e chi mi segue, a leggerlo e a inviare un messaggio d’affetto a questo pezzo di Italia interiore che soffre, che resiste, e speriamo si rialzi

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