I passi sono fatti di polvere e silenzio, mentre l’odore acre del cemento e della muffa sale su per le narici, facendo scoppiare ogni singolo atomo del cervello. Nelle vie deserte, il sole arriva tagliato in due dal profilo scuro delle case affacciate su di esse, la cui ombra rivaleggia con la luce, riproponendo l’eterna lotta tra il bene e il male, la luce e l’oscurità. E come nelle migliori tradizioni, la luce primeggia, almeno fino a quando la palla gialla del sole non deve lasciare il posto alla fornace biancastra della luna. L’aria è fresca, però, a dispetto dell’estate infuocata e della camicia sponzata del sudore di Mimí, il giornalista dai baffi dorati che dalla voce dell’Irpinia pontifica e santifica dei casi della vita quotidiana e di come la moglie di Carmine abbia potuto combinare quel guaio di cui tutti parlano. Gli operai in canottiera, forti del giorno di festa, sono riuniti in congresso davanti al bar di Angelina, la barista di Chiusano, che lavora col sinale, come le donne antiche, come le donne pie. E loro, gli uomini, dalle pingui facce rosate, inneggiano a storie mai vissute, bevendo birre ghiacciate, dimentichi, per un po’, delle mogli grasse lasciate a casa, a starnazzare con ragazzini pieni di ormoni, mentre preparano peperoni imbottiti di ogni ben di Dio. Ed io, dall’alto dei miei pensieri, percorro sentieri pieni di erbacce, salendo su per una scala, che incrocia chiese, santi e croci. Ed io penso ai tanti che quelle vie le percorsero tempo addietro, che qui ci nacquero e vi morirono, senza conoscere altre vite, senza parlare altre lingue, o aver masticato nuove emozioni. E allora mi fermo e penso: se tu sei la vita, io sono casa!
