“Mi dice cosa ci vede, lei, in quel quadro?”
“Scusi?” disse l’uomo voltandosi lentamente per guardare negli occhi la donna che aveva parlato alle sue spalle.
“Mi scusi lei, ma ho notato che stava guardando quel quadro da un tempo infinito, e la cosa mi ha incuriosita non poco. Tra l’altro, ho notato che la sua attenzione è stata catturata solo da quell’opera e non dalle altre che vi sono intorno”.
“Beh, si, in effetti sono ammaliato dagli occhi della donna raffigurata”, rispose l’uomo, grattandosi il mento con la mano sinistra e voltandosi, ancora, a guardare il quadro. “Non le sembra che la donna raffigurata ci stia osservando?”
“Beh, si, con un po’ dì fantasia, in effetti, potrei immaginare una donna che ci stia guardando”, disse lei, intenta a fissare il quadro, con la testa reclinata da un lato.
“Più guardo quella figura femminile”, continuò lui, “eterea e sottile, più ho l’impressione che ci sia un’anima dietro lo strato di pittura. Gli occhi azzurri, il cappello, il collo lungo ed affusolato, e lo sguardo, quello sguardo, mi lasciano intravvedere qualcosa che va oltre la sottile crosta della pittura ad olio indurita sulla superficie. Ma lei ha mai pensato alla possibilità che dentro ad un’opera d’arte possa essere intrappolata un’anima?” “Oddio, forse le posso spiegare meglio, mi scusi. Quando un artista crea un’opera, realizza dal nulla un qualcosa che, per l’appunto, prima non esisteva. È, di fatto, un atto di creazione, di infusione di vita in un oggetto. Ecco, e non ha mai pensato che in quell’attimo, in quel momento, in quell’istante, in quella infusione di vita, in quel battesimo sul mondo, si possa materializzare un’anima che vada ad abitare nell’opera stessa? D’altra parte nemmeno la scienza è in grado di dirci se l’anima esista per davvero, ma non è nemmeno in grado di confutare la tesi contraria, quindi, ragionando per astratto, nessuno può vietarmi di pensare che dentro a quel quadro sia stato infuso un alito di vita e che, fintanto che qualcuno come me, osserva l’opera stessa, quella possa sentirsi viva e dare sollievo all’anima di chi la abita”.
Lei, che sostava in posizione eretta, con la gamba destra spostata leggermente in avanti, il braccio sinistro tenuto in orizzontale sul ventre, il gomito destro poggiato sull’altro braccio e la mano che pareva sostenerne la testa, osservava alternatamente il quadro e l’uomo, poi ancora il quadro e poi di nuovo l’uomo: “la sua tesi, per quanto strampalata, non fa una piega, nella misura in cui fa riferimento ad elementi astratti che non possono, almeno allo stato delle attuali conoscenze scientifiche, ne essere confutati ne essere controbattuti. Potrei affermare, con un elevato grado di certezza, che attraverso la sua teoria si è posizionato in una zona di confort quasi inattaccabile. È un po’ come ragionare sull’esistenza dì Dio: sono valide tutte le tesi, sia quelle che portano, ineluttabilmente, alla sua esistenza, sia quelle contrarie, che portano, ineluttabilmente, alla sua inesistenza. E quando scopriremo la verità, sarà, per noi esseri umani, così tardi da non poter tornare più indietro per affermarne le ragioni o farne un atto di scusa per aver sostenuto quelle sbagliate. Siamo condannati ad andare a tentoni, questa è una delle poche verità che abbiamo”.
L’uomo sorrise: “noto con piacere che lei ha inteso il senso, sia pur bislacco, per qualcuno blasfemo, delle mie parole”.
La donna fece cenno di si col capo.
(Il brano è tratto da “Il Portiere”, di Giuseppe Tecce)
