Quello che resta

Ora sono polvere portata dal vento. Sono il fumo che sale in una notte d’inverno. Il caldo di un camino, la fiamma di una stufa. Sono l’accento che tronca le parole, la salsa caduta sulla cenere, un’incrostazione di amido su una giacca di velluto.
Non c’è temporale che possa resistermi, non c’è vacanza che possa fermarmi, o sangue gelato che raffreddi le vene. Io porto notizie buone, come farebbe l’acqua incontenibile dopo una tempesta. Sono una giacca calda sulle spalle fredde, una brioche consumata al sole in un giorno d’estate. Vivo nella tempesta, quando tutto mi rema contro, anche le forze che erano state amiche. Eppure le redini restano salde nelle mani segnate. A volte conviene dare ascolto a un nemico, che consiglia con franchezza, che ad un amico che ti pugnala alle spalle.
Divento terra quando sento il momento di fermarmi. Terra brulla e ruvida, scura e umida. La puoi spalmare sul pane, se desideri, ma non devi esserne ingordo, perché ti porterà alla morte.
Divento acqua se qualcuno alza troppo la voce. Affogo le parole in un muro di bolle che portano in superficie la verità, affondando tutto il resto. La paura non appartiene più al mio stato. La mia forza sta nell’aura che mi circonda e non più nelle braccia sagomate e pulsanti.
Ma quando la notte si stende, io divento verbo e allora passo di bocca in bocca, baciando le labbra profumate delle fanciulle, mi stendo tra le guance rosee ed esco dalla lingua, riempiendo l’intero universo.

Pubblicato da Giuseppe Tecce

Scrittore di saggi e romanzi

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