Germano l’ho incontrato una mattina di Luglio. Era un sabato o forse una domenica. Poco conta, perché qui il tempo sembra essersi fermato. La strada che porta a Lago Laceno è una striscia d’asfalto scura che si srotola tra i crinali di un monte sempre verde, sempre ricco di vegetazione. Ha la sua base a Bagnoli Irpino ed è da lì che la via si biforca portando, da un lato, ad Acerno, e dall’altro, inerpicandosi su per il monte, dove l’aria trova refrigerio, e la cincia canta in sincrono con il picchio. Germano è un tipo diffidente, poco avvezzo ai rapporti umani, guida le sue mucche, di razza podolica e tanto gli basta. Io mi sono seduto da un lato, sul pianoro che riempie la valle stretta tra le cime più famose del Laceno. Dietro di me svetta alto il Cervialto, che con i suoi 1800 mt è una delle cime più alte dell’Appennino centro meridionale. Ci troviamo sul massiccio dei Monti Picentini, roccaforte degli Irpini, quando facevano parte della confederazione dei Sanniti. Un popolo forte, ostile, ribelle, forse il più forte e ribelle di tutte le popolazioni del Sannio. Guerrieri indomiti, usavano contro le legioni dell’esercito romano le tecniche della guerriglia, quella che si usa ancora oggi negli attacchi nelle foreste. Salivano, scendevano su e giù per i monti, praticando attacchi fulminei che lasciavano senza scampo. La conoscenza del territorio era l’elemento chiave di quella tecnica. Sapevano bene come e dove muoversi, dove attaccare e dove nascondersi. Un vantaggio non da poco, in un’epoca in cui non esistevano mappe, ne cartacee, ne tantomeno digitali. Ma l’esercito Romano non tollerò a lungo un tale affronto e poco tempo dopo quelle popolazioni, fiere ed indomite, furono sconfitte e relegate ai margini della storia, praticandogli la damnatio memoriae. Tale evento, se da un lato fu deleterio per le popolazioni dell’epoca, dall’altro permise che le stesse su evolvessero secondo una propria cultura e propri codici morali e legislativi di riferimento. Tale isolamento, accentuato ancor più dall’abbandono della via Appia Antica, che attraversava una parte dell’Irpinia, tagliando in due l’altopiano del Formicoso, per dar spazio alla via Appia Nuova, ossia la via Traiana, inaugurata dall’imperatore Traiano, e con il suo inizio nella città di Benevento, aveva generato una progenie altrettanto forte ed autonoma, capace di vivere in zone impervie e con un clima inclemente, che avrebbe facilmente demoralizzato le altre popolazioni dell’impero. A niente servì l’innesto di una popolazione prelevata nell’area Picentina, da cui deriva il nome di monti Picentini. I Picentini si amalgamarono bene con gli irpini, creando una popolazione ancora più fiera ed autonoma. Quelle caratteristiche ancestrali si possono notare bene ancora oggi nelle popolazioni locali.
Germano è un inconsapevole portare di quei geni che lo rendono altezzoso ed autonomo, mandriano di poche parole, ma esperto conoscitore del territorio e del proprio mestiere.
La prima parola ce la siamo detta quando una delle sue mucche si è avvicinata troppo a me, finendo per calpestarmi un piede. Fortunatamente il terreno morbido sotto le scarpe ha scaricato bene il peso dell’animale. Ne sono uscito con qualche contusione e qualche dolore al piede. Germano si è rivolto a me chiedendo se mi fossi fatto male, ma senza creare allarmismi o inutili ansie. “Gli animali sono pesanti e questo è il loro territorio. Probabilmente non ti ha nemmeno visto”, sentenziò con un linguaggio scarno ed essenziale.
“Si sa che la vista delle mucche è scadente” , rispondo io, più per attaccare bottone che per una reale necessità di trasmettere quell’informazione. Probabilmente, lui, mandriano di professione, ne sapeva molto più di me, e non tanto perché lo avesse studiato sui libri, ma per esperienza diretta, sul campo.
Caccio prontamente dallo zaino una bottiglia di Taurasi, regalatami da un’amica e portata sul campo proprio con l’intento di farlo trasbordare dallo stato solido della bottiglia a quello liquido delle vene.
Germano, dapprima diffidente, guarda la scena con un piglio accigliato, poi, senza proferire parola, si allontana, arrivando alla sua tracolla, appoggiata su di un palo, tirandone fuori una pezza di formaggio ed un coltellino. Il formaggio era avvolto in uno straccio di cotone, si siede accanto a me, ne apre i lembi e ne taglia due fette. Tanto era brutto a vedersi dall’esterno, quanto era candido, compatto e bello nella parte interna. Il coltello affonda come se fosse burro, il profumo di fieno di pascoli d’alta quota si libera nell’aria e me lo porge con una inaspettata gentilezza. Poi mi passa anche il coltellino. “Provvedi tu stesso a togliere la crosta che può contenere delle muffe”.
“Lo produci tu?” Chiedo con l’aria impacciata di chi di formaggi non ne sa poi molto.
“Lo produco io” ribatte rapido lui, precisando che dopo averlo prodotto lo fa maturare per almeno quattro mesi in una grotta, nei pressi della propria abitazione. “Una grotta naturale”, precisa, “e non, di certo, una di quelle artificiali che si usano oggi per far maturare in fretta i formaggi. Il formaggio ha bisogno del suo tempo, e se acceleri il processo, quello che ottieni non sarà più un formaggio di qualità, ma uno dei tanti formaggi industriali, fatti per far arricchire qualche spregiudicato industriale, impoverendo i mandriani, che, tuttalpiù, gli vendono il latte per quattro spiccioli”.
“La solita storia che si ripete, dei furbetti che cercano di approfittarsi dell’economia di massa, e dei poveri cristi che lavorano sodo per portare a casa un tozzo di pane”, concludo io.
“Esattame, proprio così” risponde lui, mentre allunga il braccio per prendere il bicchiere che avevo riempito di nero aglianico.
Il vino fa sciogliere il sangue e le lingue, così Germano mi racconta di essere di Materdomini. Ci tiene a precisare che non vive nella frazione, ma in una casa di campagna. Di mestiere fa il vaccaro. Possiede oltre 100 vacche, che accudisce con il fratello, Pino, che nel momento in cui parliamo, è dall’altra parte del pianoro, con una parte della mandria e tre dei sette cani che li seguono.
“Non sapevo che i vaccari si spostassero con i cani”, gli dico io, lanciandogli l’assist per scioglierlo definitivamente.
“Pensavi che solo i pecorari avessero i cani? Ti sbagliavi di grosso. I cani svolgono un lavoro importante e delicatissimo, perché tengono insieme la mandria e non lasciano che i singoli animali si muovano autonomamente.”
“A Materdomini non ci sono mai stato”, gli ribatto io, cambiando completamente discorso.
Germano sgrana gli occhi, come se avessi commesso un sacrilegio. “ Non è possibile che tu non conosca il santuario di San Gerardo Maiella. Materdomini è famosa per quello. Per il resto altro non è se non un piccolo agglomerato di case , appartenenti al comune di Caposele.”
“Mi dispiace deluderti, ma davvero non ci sono mai stato, ma considerata la bontà dei vostri formaggi, di certo verrò a farci un giro”.
“Aspetta, ribatté prontamente Germano, non tutti i formaggi di Materdomini sono buoni, anzi, direi che sono piuttosto mediocri. Invece il mio formaggio è eccellente, ma, come vedi, dietro questo sapore c’è un lavoro enorme”.
“Ma la mandria la tenete sempre su questo pianoro?” Chiedo un po’ titubante.
Germano accenna un sorriso: “certo che no. Hai mai sentito parlare di transumanza?”
“Ovvio che ne ho sentito parlare” rispondo prontamente io, che la materia la conoscevo per davvero.
“Bene, e ora la vedi in atto. Ogni anno, per la stagione estiva, io e Pino trasciniamo la mandria fin quassù.”
“A piedi?” Chiedo con un pizzico di meraviglia.
“Il grosso si, viene a piedi. Poi, ci sono gli animali più giovani, ma anche quelli più vecchi che vengono trasportati con dei camion. Una volta qui, possono pascolare libere per tutto il periodo estivo. Abbiamo costruito una recinzione leggera, solo per la notte”.
Germano butta un’occhiata furtiva all’orologio. Capisco che è tempo che vada.
“Devo mungere le vacche, e ne avremo per un po’,” disse con l’aria di chi era costretto ad abbandonare il convivio.
Mi lascia andare e gli do una pacca sulla spalla. Germano è un gran lavoratore. Ha un’età indefinita, tra i trenta e i quarant’anni. Indossa un jeans ed una t shirt. Ma soprattutto è un uomo generoso. Prima di andare via, avvolge di nuovo la pezza di formaggio nel fazzoletto di cotone, poi me lo porge: “questo è un regalo per te”.
Io lo accetto commosso. Non se ne trovano più in giro di uomini così.
(Tratto da Racconti Dell’Irpinia, Graus Edizioni, 2025)
