Non c’è nulla da fare, può essere primavera quanto vuole, ma quando arriva Pasqua, anche se arriva ad aprile inoltrato, c’è sempre brutto tempo. Il fenomeno lo tengo sotto osservazione da decenni, perché ha sempre colpito la mia immaginazione. Chissà cosa si nasconde dietro una delle più grandi feste della Cristianità, quella in cui si festeggia non la morte, bensì la resurrezione del Cristo. Tengo tutto annotato in una vecchia agenda, una di quelle che non si trovano nemmeno più in commercio. La apro, la sfoglio, e trovo un susseguirsi di eventi climatici sfavorevoli: che Pasqua tocchi a Marzo, o ad Aprile, in alcuni casi addirittura a fine aprile, c’è sempre un tempo funereo, con nuvoloni neri, pioggia, e, ancor peggio, venti fortissimi. Il vento proprio non lo sopporto. Preferisco una giornata di pioggia, magari una pioggia lenta e rilassante, piuttosto che una giornata agitata e ventosa, pur senza pioggia.
Mancano pochi giorni a Pasqua, e si respira già aria di festa. Ovunque è un susseguirsi di odori, di sentori, di saperi e di sapori. È un tripudio di soppressate, uova sode, salami di ogni genere, spezie, pepe; è la festa della “pizza co l’ereva”, della “pizza chiena” e soprattutto della “pastiera”.
Teresa, proprio queste ultime due meritano un breve discorso a parte, perché rientrano a pieno titolo nell’Olimpo delle specialità del nostro entroterra.
La “pizza chiena” ossia la “pizza ripiena” è la rappresentazione, fatta pane, dell’abbondanza, che, soprattutto in passato, aveva avuto un valore calorico decisivo, dopo il periodo magro della Quaresima. I continui digiuni e le privazioni quaresimali, trovavano una fine naturale di fronte al muro invalicabile della pizza chiena. Si tratta di un rustico, nato nelle terre a ridosso tra la Basilicata e l’entroterra campano, che possiamo identificare proprio col territorio dell’alta Irpinia, e diffusosi, poi, in tutte le province dell’appenino, fino al basso Lazio. C’è qualche variante nel nome, ma la sostanza non cambia: è il rustico dell’abbondanza, ripieno con tutto ciò che la rappresenta, salame, prosciutto, uova, formaggi, spezie, il tutto avvolto in un morbido impasto che ne fa da contenitore. Sarà che ho un debole per i dolci, ma la pastiera, cara Teresa, è la quintessenza della bellezza del vivere, il profumo dell’alba mattutina dopo una notte di risvegli amorosi, la brezza fresca che ti accarezza il viso dopo una giornata torrida, il tetto che ti protegge dalla pioggia scrosciante in un giorno d’autunno. La pastiera è tutto questo, racchiuso in un disco, dal diametro, pressappoco, di 24 centimetri, ed uno spessore di 5. Teresa, la pastiera è il classico dolce, ripieno di ricotta e grano, tipico della tradizione napoletana, che si è diffuso nell’entroterra campano, divenendo il simbolo stesso delle festività pasquali. Non mancano variazioni irpine sul tema, con pastiere fatte con ricotta carmasciano, nocciole di avella, fichi di San mango sul calore, tutte eccellenze del territorio, contribuendo a realizzare un dolce simile, ma non uguale a quello originale. Alta è la disputa sulle strisce di pasta frolla che vengono utilizzate per decorare la parte superiore del tortino: c’è chi non segue la tradizione e ne usa a discrezione, e chi, invece, ne è legatissimo, mettendone esclusivamente sette. Pare, che secondo la tradizione, le strisce debbano essere sette a rappresentare i tre decumani di Napoli, da una parte, e i quattro punti cardinali della città, dall’altra. In ogni caso, con sette o più strisce, resta uno dei dolci più ghiotti della tradizione pasquale della nostra terra, e non c’è casa, e non c’è massaia che, nel periodo pasquale, non sia alle prese con fornelli, ricotta, grano, fiori d’arancio, e pasta frolla. ( inedito da “La Gente della Terra di Mezzo)

Sempre utile leggere notizie sulle tradizioni, specie se non sono le proprie ma si sono già effettuati assaggi, magari nemmeno pensando ai dettagli simbolici.
"Mi piace""Mi piace"
Il cibo è cultura, in ogni luogo del mondo. Racconta il legame con il territorio e la capacità di utilizzare le materie prime che esso produce! Quindi uno dei modi migliori per conoscere un luogo, la sua gente e le sue tradizioni, è assaggiarne la cucina!
"Mi piace"Piace a 1 persona