Il cielo

Il cielo piangeva lacrime che sapevano di mirtillo, mentre l’aria brumosa incupiva la notte, tra i vicoli fatti di pietra e marmo. La nebbia saliva poggiandosi sui gradini di una scala che interrompeva la monotonia della via. La scala portava a un castello, disabitato, ormai, da secoli, dimora di spiriti erranti, almeno così si vociferava. C’era chi giurava di aver visto figure femminili accostarsi ai vetri delle finestre, durante le notti autunnali, e chi spergiurava di aver udito il rumore prodotto dalle spade che si davano duello. A Gesualdo ci sono arrivato sudato, dopo aver percorso la statale 303 che dal Passo di Mirabella si inerpica su per l’alta Irpinia. L’odore della brina si confondeva con quello del muschio e quando mi sono fermato vicino ad un albero, per fare la pipì, il naso è stato investito dall’odore forte dei miceti. La bicicletta l’avevo buttata di lato. È strano se mi fermo a pensare di quanto la maltratti. Poi, cancello i pensieri dalla mia testa leggera, inarco la schiena e monto di nuovo sulla mia bici, non senza aver fatto una sosta contemplativa al castello di Gesualdo, cercando dietro ai vetri delle finestre, e tra i rami degli olmi, i fantasmi di vite vissute e mai trapassate. 

Pubblicato da Giuseppe Tecce

Scrittore di saggi e romanzi

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