Al Passo di Mirabella passano due asini, carichi di ogni ben di Dio, accompagnati da un uomo, che li precede, con un bastone in mano e vestito di tutto punto. I due asini sono attrezzati con basto e soma. I carichi che pendono ai lati del grosso addome fanno pensare alle coppie di caciocavalli, appese al bastone per l’essiccazione. Percorrono la Statale 90, ossia la via delle Puglie, e lo fanno in direzione di Foggia. Camminano al margine della strada, per non intralciare il traffico. Hanno il passo lento di chi conosce bene la fatica del camminare e sa bene come dosare le energie per raggiungere i propri obiettivi. Le auto, come al solito, sfrecciano sulla nazionale senza curarsi troppo dell’insolita scena, a differenza degli indigeni, assiepati davanti ai bar, che forti del giorno festivo e complice un clima mite, sono in tanti per strada a chiacchierare. Alcuni riprendono l’insolita scena con il telefonino, e ridono di gusto. È da tempo che, da queste parti, non si vedeva un asino, figuriamoci due, guidati da un uomo silenzioso e forte. Io sono mosso da una gran curiosità e mi incammino verso di loro. Non ci metto troppo a raggiungerli. Sono lenti, hanno il passo cadenzato, e la schiena curva per il carico. L’uomo ha una pancia pronunciata, una barba incolta, ma ha il viso buono. Ha l’aspetto di uno sulla quarantina, ed ha il capo coperto da un cappello scuro a falda. Li affianco, e cammino sul marciapiede accanto a loro. L’uomo si gira, fa per parlarmi, ma poi si volta di nuovo verso la strada, senza pronunciare una parola. Un’occasione persa, penso io, che, invece, cercavo il contatto visivo oltre a quello della parola. Gli sorrido, in quel battito di ciglia che si volta verso di me. Gli sorrido più per l’imbarazzo che mi trasmette il suo sguardo cupo e buono, che per una reale gioia.
Che ne pensi di fermarti per una birra? Gli dico con voce ferma e tono basso. Si gira ancora verso di me ed annuisce. L’invito è stato accolto. Gli faccio cenno di seguirmi, e mi metto davanti alla simpatica carovana, sotto lo sguardo attento degli indigeni, che mi guardano con un piglio tra il divertito e l’invidioso, promuovendo la sfacciataggine. Li conduco fino al bar che era poco più avanti. Mi fermo e, prima che si fermassero a loro volta gli animali, mi presento: sono Giuseppe, dico, allungandogli la mano in segno di saluto. Lui mi tende la sua e ci avvinghiamo in una stretta vigorosa: piacere, sono Nello. Camminiamo da oltre quattro ore, e questa sosta è provvidenziale. Faccio strada verso la porta del bar, ma mi accorgo che lui si attarda, armeggiando con gli animali, anch’essi stremati per la fatica. Gli stacca la soma, poggiandola sul tubolare di ferro che delimita il marciapiede, poi, con un po’ di affanno si avvia ciondolante verso la porta di ingresso del bar, dove ero in sua attesa. Mi guardo intorno, in cerca di un posto dove sederci, lo trovo nello spazio antistante l’ingresso. Prendiamo posto all’unico tavolino rimasto libero. Il cameriere arriva subito ed ordiniamo due peroni ghiacciate ed un bel po’ di taralli. Teresa, oramai conosci la mia debolezza per i taralli. Qui, già lo so, non sono buoni, ma con una peroni ghiacciata, puoi mandar giù qualsiasi cosa. D’altronde il motivo della sosta, non sono i taralli, ma il dare conforto e sostegno al progetto di Nello. Perché dietro al suo viaggio, ci deve essere necessariamente un progetto. Non esiste una persona che nel 2022 se ne vada in giro con due asini carichi di tutto punto, per il solo gusto di andare in giro o trasportare qualche merce.
Nello beve un sorso dal collo della bottiglia, e si stacca, poi, con un sospiro che sa di soddisfazione. A volte penso a quanto siamo strani noi esseri umani che abbiamo bisogno di mangiare e bere per star bene. A pensarci bene, tutti hanno bisogno di mangiare e bere per star bene, su questo pianeta. Magari a modo loro, come nel caso delle piante, ma tutti su questo pianeta abbiamo bisogno di una fonte di energia. Nello, mi sorride in segno di riconoscenza. È un tipo taciturno, uno di quelli che per fargli tirare fuori una parola, gliela devi estorcere. Eppure so, dentro di me, che se parlasse, avrebbe una storia da raccontare. Siamo seduti a bere. Lui nel silenzio si sente a suo agio; si è persino rilassato scendendo con il fondo schiena verso il bordo della sedia, mentre le spalle sono scese giù, lungo la spalliera, assumendo una posizione quasi sdraiata. Si tira giù il cappello, coprendosi la fronte e quasi del tutto, gli occhi, come a cercare riparo dal mondo. La folta barba, poi, coprendogli il viso con una peluria nera, lo rende quasi inespressivo. Ma nonostante ciò, ha un’aria bonaria e rasserenante, come quella di un prete di campagna con le scocche rosse, o di un maestro elementare di un paese di montagna. Io, però non mollo e cerco il gancio giusto per farlo parlare, e lo trovo parlando del tempo variabile, nonostante che siamo in primavera inoltrata.
Buona la birra ghiacciata, gliela butto li, anche se in piena estate sarebbe stata meglio. Lui annuisce.
(Da L’agente della Terra di Mezzo, https://amzn.eu/d/f3CScHV)
