
A un certo punto non vidi più i corpi, ma anime che vagavano intorno a me. Fu allora, in quel preciso momento, ai piedi di Agya Sophia, che le porte della percezione si aprirono. Una sorta di portale energetico mi portò in un attimo laddove non ero mai arrivato prima. Ascesi ad una dimensione superiore. Tutti i corpi scomparvero e vidi la verità nuda, così come essa era: migliaia di anime, spogliate dai corpi, vagavano intorno a me. Tutte con gli stessi sentimenti, disperate allo stesso modo, alle prese con ansie, preoccupazioni, percezioni. Non tutte erano allineate sullo stesso livello. C’erano quelle che partivano svantaggiate, dal fondo della fila e quelle che vibravano di energia pura, che stavano avanti, dove potevano dettare il passo da seguire. E fu lì che compresi quanto fosse inutile la differenza tra i vivi e i morti. Le anime non conoscevano il peso della carne né l’inganno del tempo: erano parti di una stessa fiamma, frammenti di un’unica voce che si era insinuata attraverso le ere e le generazioni. Di esse, la maggior parte, parevano portarsi addosso un fardello pesante, mentre poche sembravano correre leggere. Allora mi resi conto che non era il mio giudizio a determinarne la posizione, ma il coraggio con cui avevano vissuto le vite precedenti. Ed io, sospeso in quella rivelazione, capii che non ero diverso da loro: ero uno di quei viandanti, forse a metà del cammino, ma con lo sguardo finalmente rivolto verso l’alto, perché la verità non la si possiede, ma la si attraversa.
