Le Dee della Settima Città 

Le dee lascive, e stimorate, risciacquavano le loro spade nell’ade, sotto l’imperante litania dell’epoca, che le voleva dedite solo al bene degli umani. Ma cosa ne sapevano essi di quel che realmente era il bene e di come lo si potesse portare a compimento per tutti gli esseri viventi. “Il nostro compito”, esse pensavano, “è di tenere tutto il mondo in equilibrio, e per fare ciò, si rendono necessarie soluzioni che ai più possono sembrare strazianti: come tagliare qualche testa qua e là, appendendole sui pali, tra i fili sparsi del telefono.”Come panni stesi si muovevano i corpi sospesi a mezz’aria, decapitati, a volte, integri, più spesso, fatti ancora di sangue e passione, di articolazioni mobili e di frasi di sudore. Tutto regnava nella loro dimensione, combattuto solo dalle spine del tempo, colmando l’immenso senso di colpa con melodie crescenti e infinite armonie. Governare il mondo richiedeva freddezza, polso duro e passione di ferro. Il getto dell’acqua calda ogni tanto si dirigeva su di loro, come a guarire gli stracciati, i demoni dell’inferno che consumavano quel convivio. Le spade erano state tratte e di morir feriti non era ardito pensare. 

Le chiamavano “dee” solo per onorare un ricordo antico, un fermo immagine su un tempo che fu, ma erano carne e metallo, nate nei laboratori sommersi della Settima Città.

Portavano nomi presi da lingue morte, e nei loro occhi correvano filamenti di codice come vene di luce. L’Ade era solo una camera di smaltimento, dove i corpi, quelli veri, venivano lavati e catalogati, in attesa di esser bruciati.

Gli uomini, al di sopra, vedevano solo il risultato: quartieri svuotati, silenzi improvvisi, antenne spezzate che gocciolavano pioggia e sangue.

“Il bene”, così lo chiamava il Comando, era una formula matematica, un equilibrio fragile di risorse e di numeri. E quando le dee uscivano dalle camere, il vapore dell’acqua calda che cadeva sulle loro corazze sembrava una benedizione… o una condanna, che si ripeteva all’infinito.

Perché nessuno, là fuori, doveva sapere che la misericordia era stata abolita da secoli.

Pubblicato da Giuseppe Tecce

Scrittore di saggi e romanzi

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