Dicono di Racconti dall’Irpinia

Tecce si fa cantore del tempo sospeso, luogo in cui l’uomo abita non secondo la freccia lineare della cronologia, ma secondo le circolarità interiori della memoria, del desiderio e del mito. I suoi personaggi non vivono in un tempo storico, ma in una dimensione dell’essere che sfugge alla contingenza: sono ombre incarnate, forme archetipiche, frammenti d’infinito che abitano il limite. Il loro spazio non è geografico, ma ontologico. L’Irpinia, allora, non è solo paesaggio: è simbolo, è metafora del ritorno, del radicamento, dell’origine che ci fonda e ci sfugge.
L’autore intreccia ironia e nostalgia, incanto e concretezza, in una narrazione che si pone come atto conoscitivo, un modo per interrogare la realtà senza la pretesa di definirla, ma con il desiderio di abitarla poeticamente. Come i filosofi presocratici, Tecce guarda il mondo con stupore primordiale: ogni storia è una piccola cosmogonia, una visione dell’Essere incarnata in una voce, un gesto, un silenzio. (Dalla recensione di Rosa Bianco su Orticalab)

Pubblicato da Giuseppe Tecce

Scrittore di saggi e romanzi

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