“Io stasera ti mangio tutto, sai? Stasera ti faccio davvero male. Nel piatto non lascio nemmeno le briciole, e se dovessero cadere, anche quelle mi leccherei”, diceva Elisa, con voce sommessa, guardando dritto in faccia il panino con l’hamburger, che faceva bella mostra di sé nel piatto finemente decorato con arabeschi celesti e gialli.
“Tanto non mi mangerai nemmeno stasera”, rispondeva il panino con aria sorniona, che, facendo scivolare sulla parte davanti una porzione sottile dell’hamburger, simulava un sorriso appena accennato, tipico delle sfide tra ragazzi.
“Si che ti mangio. Vedo che lì dentro ci sono anche le patatine fritte, e la maionese e del formaggio fuso. Io adoro le patatine fritte e non è nemmeno immaginabile che io non le mangi.” Così diceva Elisa, con aria imperturbata, mentre la mano, che lentamente si spostava dal tavolo al piatto, lasciava trasparire un certo tremolio, che mal si conciliava con le parole ferme e determinate che aveva pronunciato. In maniera maldestra afferrò il panino schiacciandolo tra le dita. Il pane si afflosciò, come se fosse di zucchero filato. Lo schiacciò a tal punto che l’hamburger perse i suoi succhi, che caddero sotto forma di grandi gocce all’interno del piatto, aggiungendo all’azzurro e al giallo ocra, un tenero arancio tendente al rosa, che ben si sposava con la composizione generale della stoviglia. Lo avvicinò alla bocca, ma prima ancora che con la bocca, il panino lo aveva assaggiato con il naso. Gli effluvi della carne, mischiati con l’odore pungente delle patatine fritte, e con quello acido della maionese, che ai più avrebbero fatto dilatare le papille gustative e lo stomaco, in Elisa procurò una immediata repulsione. Il naso lo usava come una sentinella, bloccando a pochi centimetri dalla bocca tutto ciò che potesse apportarle calorie. Era da un po’ che Elisa aveva la fissa di contare le calorie. Aveva cominciato per gioco cercando su Google le calorie di questo o di quel cibo. Poi prese a segnarsele le calorie. Le segnava su un quaderno con la copertina verde ed un cucciolo di cane in primo piano. Le segnava in maniera ordinata, quasi maniacale, con una scrittura impeccabile, da giovane amanuense, e lei ne era felice e a tratti orgogliosa. Si sentiva un medico, una scienziata dell’alimentazione, dividendo gli alimenti in proteici, carboidrati, zuccheri semplici, zuccheri complessi, latte, lattosio e chi più ne ha più ne metta. Si sentiva orgogliosa di quel lavoro minuzioso, e a forza di cercarle, di scriverle, tante calorie le erano entrate nel cervello, imparando a memoria quantecalorie potesse avere un piatto di pasta con il sugo e la mozzarella, oppure le calorie contenute in una banana, in una pesca o in qualche centinaio di grammi di fragole. Certe volte si era ritrovata a ripassarle a memoria mentre era in autobus, per andare a scuola. Si, perché ancora non ve l’ho detto, ma Elisa aveva 16 anni e frequentava il terzo anno di un liceo. Non uno qualsiasi, ma un liceo linguistico, perché lei con le lingue aveva molta dimestichezza e poi l’inglese le tornava utile nelle ricerche su Google, per spulciare le ultime novità sulle riviste americane di salute e benessere. Elisa era una bella sedicenne, con lunghi capelli scuri ed una frangia folta che lambiva le sopracciglia, che la faceva apparire anche più grande e le dava l’aria un po’ da snob. Viveva a qualche chilometro di distanza dalla scuola, in un bel palazzo signorile, nella periferia della città, con una mamma eternamente affaccendata, un papà che spesso era via da casa per lavoro ed un fratello di poco più piccolo di lei, Alessandro. Una famiglia all’apparenza normale, con le solite dissonanze, apatie ed esaurimenti tipici di ogni famiglia di provincia, con dei genitori proiettati, quasi completamente, sul lavoro, del quale avevano fatto una ragione di vita, anche per permettere ai figli di mantenere un certo tenore di vita, quello di una media famigliaitaliana, con due automobili, un cellulare per ogni componente della famiglia ed una vacanza di quindici giorni all’anno al mare.Elisa, saltuariamente frequentava una palestra. Le piaceva mantenersi in forma. E, di fatto, era in forma. Un girovita sottile che faceva da intermezzo tra le giuste forme, in alto e in basso, di una giovane donna che si avviava verso la maturità fisica e mentale. Lei si riteneva una cultrice del buon vivere. A cena, con gli amici, non disdegnava nemmeno una bibita, rigorosamente analcolica, magari con zucchero. Si, era un po’ strana, agli occhi delle amiche. Aveva quel maledetto vizio di contare sempre le calorie. A volte, anche all’interno del gruppo, si chiudeva in sé, lo sguardo si perdeva in un punto non meglio definito nel vuoto, e le orecchie più attente potevano sentirla parlottare: “se bevo una coca, aggiungo 139 calorie. Aggiungendo una porzione di patatine fritte con formaggio fuso, sono altre 400 calorie. No, così mi sballa tutto il conteggio della giornata. Mi sa che devo rinunciare alle patatine per qualcosa di meno calorico, magari una insalatona caesar, meglio se senza salse”. Poi d’improvviso sembrava ridestarsi da quella sorta di trance in cui cadeva, per riprendere l’ordinario ritmo di vita.
Intanto Elisa era ancora alle prese con il suo panino, in un tira e molla infinito tra la bocca ed il piatto, il piatto e la bocca. Come al solito aveva calcolato, anche quella sera le calorie, anzi a pranzo non aveva mangiato quasi nulla, pur di potersi permettere quel panino, proprio quel panino, farcito in quel modo. Un panino che aveva mangiato già altre volte, che le piaceva da morire. All’ennesimo tentativo di portarlo alla bocca, dopo l’ennesimo boicottaggio della mandibola, che di aprirsi non ne voleva proprio sapere, ebbe uno scatto nervoso del braccio, con il quale manteneva il panino. Nel fare quel gesto, inavvertitamente, schiacciò con più forza il pane, facendo cadere un bel po’ di maionese proprio sul jeans. Le amiche la videro diventare pallida, ed accorsero in suo aiuto.
“Elisa, come stai? Stai bene? Tranquilla che il jeans si lava, la macchia scomparirà. Non devi preoccuparti per cosi poco”, dicevaRaffaella.
Nello stesso tempo Sara si era alzata dalla sua comoda poltroncina, fiondandosi verso il jeans di Elisa. Con il dito indice della mano destra tolse dalla coscia il grosso della maionese, lasciando in evidenza la macchia fatta di grasso e profumata di limone. Poi, con una manualità esperta, intinse l’angolo del tovagliolo nel bicchiere d’acqua che faceva bella mostra di se al centro del tavolo, e con gesti rapidi e secchi, procedette ad eliminare la restante parte grassosa dal pantalone, che, intanto, si era abbondantemente bagnato.
Le attenzioni delle amiche, non furono sufficienti, perché Elisa, in un lasso di tempo breve divenne ancora più pallida, a tal punto che si alzò di scatto e corse in bagno. La scena sarebbe stata divertente, se non fosse stata tragica. Elisa si alzò di scatto dalla sedia, facendola rovinare in terra dalla parte della spalliera, provocando un gran tonfo, che destò l’attenzione di tutti i presenti in sala. Con la vista annebbiata, ed un forte ronzio alle orecchie, che parevano scoppiare dall’interno verso l’esterno, corse in direzione del bagno, con Raffaella che, preoccupata, la rincorreva, spingendo qualche commensale e facendo cadere qualche posata dai tavoli vicini. Elisa si chiuse in bagno, fece un grande respiro. Sentiva il cuore battere forte, le mani le tremavano, ed uno strano sudore freddo cominciò a fuoriuscire dai palmi, rendendoli freddie viscidi. Non capiva quello che stava accadendo, era solo preoccupata, ed imbarazzata per l’accaduto. Raffaella, che era rimasta al fuori della porta del bagno, e che, evidentemente, aveva capito ciò che era accaduto all’amica, la esortò a fare dei respiri profondi, e con un tono di voce pacato la tranquillizzò. Dopo un po’, Elisa aprì la porta e si fiondò sull’amica, in un abbraccio che sapeva di amicizia e di riconoscenza. Raffaella la strinse forte a sé: “amica mia, amica mia, non è che vorrai lasciarci le penne per un panino? Capisco che quella maionese caduta sul pantalone possa averti turbata, ma da qui a far succedere tutto questo putiferio, ce ne passa un bel po’”, e scoppiò in una sonora risata. Strinse a sé Elisa con ancora maggior vigore, poi prendendola per le spalle, la allontanò un po’, in modo da poterla guardare bene in viso e continuò: “hai avuto un attacco di panico. Ne sono certa. Mia madre ne soffre e l’ho vista fare esattamente le stesse cose che hai fatto tu. I movimenti fatti a scatti, il volto che diventa pallido, le labbra che tendono al viola, e poi quella voglia di fuggire, non si sa dove, che è tipica di questi attacchi. Nulla di grave. Mia madre mi ha spiegato che non si muore di attacchi di panico, ma che peggiorano la qualità della vita, e che bisogna indagarne le cause, in modo da rimuoverle, per ritornare ad una vita serena e normale”. Non ci volle molto affinché Elisa riprendesse il suo normale colorito, ma il panino non ebbe più il coraggio di mangiarlo. Lo lasciò integro nel piatto. Integro, poi. Schiacciato un po qua e un po la, con la maionese che aveva sporcato tutta la parte esterna e gli umori della carne che lo avevano ulteriormente ammorbidito. In realtà ciò che era successo era solo un campanello d’allarme, che, se inascoltato avrebbe portato ad ulteriori problematiche. Infatti non passorono che pochi giorni da quell’episodio, che esso si ripeté esattamente allo stesso modo, ma in classe. Elisa fu sopraffatta, ancora una volta, dalla stessa sensazione di peso sopra lo sterno, di difficoltà nella deglutizione, senza contare la sudorazione fredda e le palpitazioni. Ancora una volta aveva sentito forte l’esigenza di alzarsi dal banco e di fuggire da qualche parte. La scuola, quell’ambiente protetto, che le era così tanto familiare, le sembrò, d’improvviso, un luogo sconosciuto, freddo, lontano da sé e dalla sua anima. Non aveva molti luoghi in cui fuggire, ma lo fece lo stesso. Si alzò di scatto dal banco, facendo cadere la sedia con gran frastuono nella classe silenziosa. Tra lo sbigottimento dell’insegnante di matematica, che urlava: “Conti cosa sta facendo? Torni immediatamente a sedersi al proprio posto”. Raffaella, che era la sua compagna di banco, e l’amica più stretta di Elisa, dopo averlanciato uno sguardo truce nei confronti della prof, si lanciò di nuovo all’inseguimento dell’amica, raggiungendola, per l’ennesima volta, nel bagno, dove Elisa si era chiusa a chiave. La scena si ripetè uguale a quella di qualche sera prima, con Raffaella dal di fuori della porta, che cercava di tranquillizzare l’amica, mentre Elisa chiusa dentro, singhiozzava e stentava ad uscire da quello stato di confusione in cui era caduta. Raffaella restò seduta per terra con lei, fuori dal bagno, fino a quando Elisa non si fu calmata. Nessuna parola fu pronunciata in più, nessuna domanda. Era lì, solo con la sua presenza e con il suo respiro. Quella stessa sera, al ritorno da scuola, Elisa si chiuse nella sua stanza. La luce del tramonto filtrava dalle tapparelle abbassate, disegnando sul muro delle righe oblique, come una gabbia rovesciata. Si sedette sul letto, ancora vestita. Prese il quaderno verde dal cassetto e lo aprì a metà. Lesse una pagina a caso:
“colazione: 1 mela – 60 kcal, 5 mandorle – 35 kcal, tè verde senza zucchero – 0 kcal.”
Lo richiuse di colpo. Lo lasciò cadere sul tappeto.
Uscì dalla stanza. La mamma era in cucina, stava sistemando la lavastoviglie.
“Mamma…”
Lei si voltò, ancora con un piatto in mano.
“Dimmi, amore.”
Elisa non sapeva da dove cominciare. Abbassò lo sguardo.
“Mi sento male da un po’: con il cibo, con me. Non riesco più a mangiare senza aver paura. E… a scuola mi sono sentita male. Ancora.”
La madre poggiò il piatto nel lavandino e le si avvicinò.
“Tesoro… perché non me lo hai detto prima?”
“Perché pensavo fosse colpa mia. O una mia fissazione.”
Ci fu silenzio. Uno di quei silenzi che fanno più rumore di mille parole.
“Possiamo parlarne con papà?”
Elisa annuì.
Quella sera, per la prima volta dopo tanto tempo, rimasero seduti tutti e tre sul divano, senza televisione accesa. E parlarono. Dei panini, delle crisi, del quaderno. Del senso di colpa, del vuoto. Della paura.
Il giorno dopo, la madre telefonò a una psicologa che le avevano consigliato. Dopo una breve attesa, arrivò il giorno della visita. Lo studio era al secondo piano di un palazzo silenzioso. Elisa entrò in punta di piedi. Una donna gentile la accolse con un sorriso caldo.
“Ciao Elisa. Ti va di raccontarmi qualcosa di te?”
Elisa rimase un attimo in silenzio. Poi aprì lo zaino, tirò fuori il quaderno verde e lo poggiò sulla scrivania della dottoressa.
“Qui dentro ci sono tutte le calorie che ho contato per mesi.”
La psicologa lo prese tra le mani con delicatezza.
“Bene. E oggi, quante ne hai contate?”
“Stamattina nessuna. Ho mangiato una banana senza cercare quante calorie ha.”
La donna sorrise.
“È un buon inizio.”
Nei giorni successivi, Elisa iniziò anche un percorso con una nutrizionista. Non fu facile. Ogni volta che doveva contare i cucchiai di pasta mangiata, sembrava una sfida. Ogni volta che le era imposto di ignorare un’etichetta, era, per lei, una vera e propria rivoluzione. Piccola, ma pur sempre una rivoluzione. Ma cominciava a capire. Che il corpo non è un nemico. Che il cibo non è un avversario. Che il panico è solo una voce che chiede ascolto.
Passarono alcune settimane. Un sabato pomeriggio, Elisa uscì con Raffaella e Sara. Tornarono proprio in quel locale, quello del panino.
Quando il cameriere arrivò, Elisa guardò il menu, poi chiuse la carta.
“Un panino, quello col formaggio fuso. E una Coca media.”
Sara la guardò sorpresa. Raffaella sorrise. Il panino arrivò, fumante. Elisa lo prese tra le mani.
Non tremavano più. Ne fece un morso piccolo, ma vero. Masticò piano. Poi, con un filo di voce, quasi divertita, sussurrò: “Non ha più parlato.”
Le ragazze risero.
Fu la risata più leggera che Elisa ricordasse da tempo.
(Inedito tratto da: Breviario dei racconti brevi)
