Mi sono visto dentro a una foto, passare di mano in mano nel 2267. In quel tempo sarò morto da un pezzo, ma la mia foto continuerà a girare finché non ci sarà la fine del mondo. E alla fine dei tempi, quando tutto sarà consumato, da navigato spettatore, io stesso, chiederò a Pietro di aprire il cancello e di farmi riavere quel pezzo di carta consunto e lacrimato. Chissà quante persone, vissute dopo di me, si saranno chieste chi fosse quell’uomo, dall’aspetto austero, dall’abbigliamento sportivo ed il volto mai sereno. E gli angeli con un’ala sola, canteranno al mio cospetto, mentre mi consegneranno la fotografia che mi ritrae. Quante domande si porranno i posteri rispetto alla mia vita e a ciò che io feci per viverla al meglio.
Forse cercheranno tracce di me nei libri che avrò lasciato, nelle parole sospese tra le pagine, o negli sguardi che incrociai lungo il mio cammino. Forse qualcuno proverà persino a immaginare la mia voce, la piega del mio sorriso, la ragione nascosta dietro a quell’apparenza di inquietudine. Eppure io ho amato e gioito di tutte le gioie della vita, e io stesso, dall’eternità silenziosa in cui sarò immerso, sorriderò di tutte queste curiosità umane, così simili alle mie, quando anch’io guardavo vecchie foto di persone sconosciute, chiedendomi chi fossero, come avessero amato, mangiato, sognato e sofferto. Forse è questo il senso profondo della nostra esistenza: lasciare una scia lunga di domande inevase, di alchimie sospese e di curiosità mai appagate.
