Le mie vicissitudini cominciarono ancor prima della nascita, quando ci fu un’accesa discussione sul nome che avrei dovuto portare. Sai, dalle nostre parti è usanza che il primo figlio nato porti il nome del nonno paterno, ed è qui che sorse l’intoppo. Mio nonno, come primo nome aveva quello di Soccorso. Sì, un nome che sembra quello di un ambulatorio medico. Nel periodo in cui nacqui cominciava a diffondersi sempre più l’uso del telefono come mezzo di comunicazione e mio padre fu mosso quasi a pietà dall’affibbiarmi un nome che mi avrebbe potuto perseguitare per tutta la vita. Immaginò quel bambino che, crescendo, avrebbe cominciato a frequentare gli amici e, rispondendo al telefono, avrebbe dovuto rispondere dicendo: pronto, Soccorso.
Quel nome si addiceva poco a un bambino di quest’epoca, di un mondo in continua mutazione e fatto di relazioni sempre più strette. Mosso da quel pensiero, dinanzi all’ufficiale dello stato civile, contravvenendo a tutte le regole della società patriarcale di un’area interna della Campania, mio padre non ce la fece proprio a comunicare quel nome. Quindi dopo i rituali auguri per la nascita, alla domanda sul nome da
dare al bambino, lui rispose: Giuseppe.
(Il brano è tratto da “L’agente della Terra di Mezzo, BookaBook editore)
