Cinque sono le regole che ho appreso lungo il cammino. Sono antiche quanto i racconti che si fanno intorno al fuoco, e non ammettono deroghe. Le ho imparate vivendo, cadendo e rialzandomi, osservando i silenzi degli alberi e ascoltando le parole dei maestri.
La prima regola mi parla della dignità. Cammina dritto, mi dico sempre, e custodisci la tua dignità come se fosse un vecchio cappotto, consunto dal tempo, ma caldo e rassicurante. Non cedere mai il tuo valore per un piatto di lenticchie, non lasciare che qualcuno ti convinca di valere meno di quello che sei davvero. La dignità è la colonna che sorregge tutto, è la lanterna che illumina la strada nelle notti oscure.
La seconda regola è silenziosa come un vecchio monito: non lamentarti. Perché il lamento è un pozzo oscuro, che ruba energie preziose. Meglio incanalare quelle energie in qualcosa che renda più lieve il viaggio. Ogni lamentazione attira ombre, anime stanche che non conoscono la luce. Preferisco scegliere parole luminose, che scaldano il cuore e nutrono l’anima.
La terza regola è il segreto di ogni magia: pensa in grande, pensa in bene. Ho scoperto che immaginando con nitidezza ciò che desidero, rende più vicini i miei sogni. È come disegnare mappe invisibili che il destino, con lentezza, realizza. Lo dicevano gli antichi saggi: il mondo è dentro di te, prima ancora di apparire fuori.
La quarta regola è custodire lo spirito. È nel silenzio del bosco che ho imparato a percepire l’invisibile filo che lega l’anima alla carne. Curare lo spirito è come curare un giardino nascosto, dove crescono le rose più belle. Solo un’anima luminosa può illuminare un corpo che altrimenti si farebbe flaccido, opaco, spento e stanco.
Infine, la quinta regola mi ricorda che il corpo è sacro. Mi prendo cura del mio corpo con rispetto, come farebbe un giardiniere con la terra che ama. Sono ciò che mangio, ciò che bevo, ciò che lascio entrare nella mia vita. Scelgo ogni alimento come fosse una medicina, la parola di una poesia, un verso delicato che compone la mia storia.
