La danza dei granchi

Le onde dell’azzurro Mediterraneo lambivano la riva producendo un sussurro armonioso, dando vita ad una melodia insolita. I granchi, con la loro corazza blu cobalto e chiazze di un arancio scintillante, emersero dalla parte inferiore delle rocce, quella parte che alternativamente veniva ricoperta e poi liberata dall’acqua, e cominciarono a danzare, con un ritmo che sembrava in simbiosi con il degradare delle luci del tramonto. Intrecciavano le loro chele in una danza intricata, mentre il riflesso dorato del sole scintillava sull’acqua, creando l’effetto di mille scintille argentate, in un’atmosfera, che d’improvviso era diventata magica. Il cielo sfumava verso territori cromatici difficili da decifrare per l’occhio umano, scivolando dal rosso, al giallo, all’arancio al blu scuro, al nero della notte. Tutte le stagioni si erano concentrate in un’unica striscia di cielo che andava dalla linea dell’orizzonte fino ad un’altezza di quarantacinque gradi. Sulla sua testa, allo Zenith, già si vedeva il punto luminoso delle stelle. I granchi, ignari di tutto ciò, continuavano la loro danza, rituale ed antica, scritta nei loro geni e nella brezza del mare. Sembrava, ad un occhio più attento, che stessero celebrando la bellezza fugace del tramonto, ed erano la testimonianza vivente della meraviglia della natura. L’aria era carica di un senso di mistero ed incanto, e chiunque avesse avuto la fortuna di assistere a quello spettacolo avrebbe portato, per sempre, con se il ricordo della danza dei granchi su una spiaggia di Lampedusa. (tratto da Tramonti Occidentali)

Pubblicato da Giuseppe Tecce

Scrittore di saggi e romanzi

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