Oggi, per qualche motivo che mi è sconosciuto, è accaduto che il mio articolo su Osvaldo Sanini, sul mio sito Internet (www.giuseppetecce.com) ha ricevuto tantissime visualizzazioni. E, per questo, mi è tornato alla mente un pezzo che avevo scritto su Sanini all’interno di un mio libro (La Gente della Terra di Mezzo) che è ancora inedito. Io stesso ho conosciuto il poeta Sanini attraverso i racconti di una mia amica, che mi ha invogliato a fare ulteriori ricerche e ad apprezzare il suo lavoro ed il suo amore per la terra irpina, che non era la sua terra nativa. Vi lascio sotto il pezzo che parla di lui:
Arrivo da Celestina, la metto in moto e ce ne andiamo, anche noi, per la via delle Puglie, arrivando fino a Grottaminarda, imboccando, poi, la via per Melito, dove mi fermo in prossimità di quella che, a prima vista, sembra una vecchia fontana, ma che, ad un esame più attento, si rivela essere un antico lavatoio in uso alle donne del paese. Lo stato della fontana non è dei migliori, ma si capisce subito che ha conosciuto fasti migliori, in altri tempi. C’è una donna seduta su uno dei muretti. Ha i capelli scuri ed è intenta a leggere un libro.
Oggi sono proprio in vena di fare chiacchiere con gli sconosciuti, ed in pochi attimi sono accanto a lei. L’esperienza mi ha insegnato che ci si può fidare delle persone che leggono. Per lo più sono persone buone, bramose di conoscenza e, qualche volta, un po’ asociali.
Mi avvicino, tossendo, per farle sapere della mia presenza, evitando di procurarle uno spavento. Abbiamo un contatto visivo, quando lei solleva, per un attimo, lo sguardo dal libro e mi getta un’occhiata, accompagnata da un fugace buongiorno.
Non solo rispondo al buongiorno, ma mi seggo proprio di fianco a lei, che, dall’espressione del viso, non mi pare esserne troppo contenta.
Che vuole? Mi dice con un’aria scocciata. Ha bisogno di qualcosa?
Non le sembra di essere stata un po’ troppo rude, replico io, che, intanto, avevo sbirciato la copertina del libro che leggeva: un libro sulla storia dell’Irpinia, e la cosa mi fa particolarmente gola.
Mi presento, signorina, le dico allungandole la mano: sono Giuseppe, Giuseppe Tecce, piacere di conoscerla.
Piacere mio, replica lei, con aria sorpresa ed un cenno di sorriso: sono Monica.
Ecco Monica, non si meravigli della mia presenza qui. Volevo fare una sosta presso la fontana. Me la ricordavo in uno stato migliore, ed invece l’incuria ed il tempo hanno lavorato insieme anche da queste parti.
Si, sorride lei, è da un po’ di tempo che manca da qui. Il tempo e l’incuria lavorano da queste parti da un bel pezzo. Basta osservare le condizioni della fontana.
Più che una fontana, aggiungo io, ha l’aspetto di un lavatoio. Già mi immagino le donne di una volta, chine in terra a strofinare panni e cenci con acqua e cenere.
Ah, vedo che se ne intende, fa lei, che questa proprio non se l’aspettava. Però finalmente si scioglie e si mette a suo agio, sedendosi in una posizione più comoda per poter parlare. Di sicuro è incuriosita. E mi dica, cosa sa lei dei lavaggi con la cenere?
Monica, vede, continuo io, nei tempi passati, non esisteva di certo il sapone, né lo smacchiante per tessuti. Ma gli antichi erano saggi e sapevano che la natura aveva una soluzione per ogni problema; così, sapevano, che i tessuti bianchi si potevano tranquillamente smacchiare utilizzando i residui della combustione dei camini, cioè la cenere. Come abbiano, poi, fatto una scoperta di questo genere, in sincerità, non lo so. Ciò che so è che avevano delle soluzioni, a volte geniali, per ogni piccolo o grande problema della vita quotidiana. Quel che è certo è che, in quell’epoca, non avevano le comodità che abbiamo al giorno d’oggi: come la lavatrice. Si immagina la fatica cui erano sottoposte quelle donne, che, con pesanti ceste di panni sulla testa, dovevano scendere dalle proprie abitazioni, arrivare fin qui, dove, in maniera condivisa, dovevano lavare i propri panni. Oggi sarebbe una cosa inimmaginabile, almeno in questa parte del mondo, ma aveva anche i suoi risvolti positivi.
Si? Risponde lei. E quale sarebbe il risvolto positivo?
Il risvolto positivo è che, a quel tempo, c’erano più occasioni di socialità. Non oso immaginare quanti racconti si facessero, in luoghi come questo; quante storie, quanti “cunti” siano passati attraverso queste colonne: storie di vita, magari di tradimenti, di mariti o di mogli infedeli. Insomma da qui passava la vita. Questi luoghi erano la televisione, o, ancora meglio, il whatsapp dell’epoca. D’altra parte le Agorà greche, o le Piazze romane, avevano la medesima funzione. Lei, divertita dai miei racconti, mi chiede se fossi della zona: non mi aveva mai visto in giro. Sa, il paese è piccolo e ci conosciamo un po’ tutti.
Lei ha perfettamente ragione, replico, non sono del posto, ma quando posso mi ci fermo: il luogo è accogliente con i forestieri, ed è normale che sia così, considerata la storia della cittadina, nata proprio per accogliere persone di passaggio tra la Puglia e la Campania. E invece, lei, signorina, è di Grotta?
Si, sono di Grottaminarda, risponde celermente, fiera di essere Irpina, nata e cresciuta in questa terra, e lo dico con orgoglio, dall’alto dei miei trentaquattro anni. Sono nata e cresciuta nel paese della “ciambottella”, una zuppa di peperoncini piccanti al pomodoro e dei “ cicatielli col pulieo”, una buonissima erba aromatica. Lei forse ignora che anche questo paese ha origini molto antiche, e le vestigia dei fasti del passato, sono conservate nel castello D’Aquino, dove c’è un museo, la biblioteca del castello, e dove si trova il noto caffè letterario. Noto soprattutto a noi giovani del posto, perché, nel tempo è divenuto il centro culturale del paese, regalandoci interessanti rassegne letterarie e musicali. Il mio amore per questi luoghi, nasce, non, come spesso accade, dalla rimozione dei loro veleni, della loro miseria e della loro impotenza, ma da uno sguardo lucido e poetico, che non nasconde nulla e non fa sconti a nessuno. Troppe persone sono arrabbiate con la nostra terra, sbattono la porta e vanno via. Troppi tra quelli che restano, pensano che la cosa più giusta da fare sia il vendersi o lo svendersi. Ecco, io sono l’esatto contrario: contraria ad ogni forma di vendita o di mercimonio del corpo, e, soprattutto, dell’anima. Troppo spesso la politica cerca di portarci via anche quella, soprattutto in luoghi come questi, depressi, dove è più facile ingannare le persone, sottraendogli anche la loro anima o il loro credo, in cambio di un lavoro, che, certe volte, non arriva mai. L’affetto per i nostri luoghi è diventato un marketing territoriale, e loro sono i commercianti della nostra identità. L’Irpinia, invece, è una terra verde e di appartata bellezza, terre alte, terra di venti, luogo dell’anima, dei miti, dei riti magici dei contadini. Per questa terra ci vorrebbe più rispetto vivo del presente, e, soprattutto un desiderio di futuro. La gente scappa e lo fa ,soprattutto, per lavoro. La realtà è questa, perché questa terra, da un punto di vista lavorativo, non offre molto, e, pertanto bisogna andar via, verso il nord dell’Italia, se non addirittura all’estero. Una volta è successo anche a me, che un mio cugino mi abbia chiamata per andare a Modena, dove avrei potuto lavorare e costruire una vita serena. In verità, sono anche andata, ma ci sono stata solo qualche settimana. Poi, il richiamo di questa terra si è fatto sentire, forte ed imperioso e mi ha indotta a tornare, proprio qui, da dove ero partita. In fondo, amo Grottaminarda, ed è un sentimento che va al di là delle contraddizioni o delle contrapposizioni politiche, che ci fanno scontrare. Questa è la terra in cui, un poeta, sconosciuto ai più, vittima delle persecuzioni fasciste, genovese di nascita, fu mandato al confino, nel 1940, restandovi, di propria volontà, fino alla morte.
E chi è quel poeta, le chiedo incuriosito.
Si tratta di Osvaldo Sanini, il cui nome non le ricorderà nulla, ma che tanto ha dato a questa terra e che tante emozioni continua a suscitare in me. La sua poetica struggente, si è incontrata spesso con le bellezze che ci circondano. In tanti hanno cercato di narrarle: in pochi ci sono riusciti. Lui è uno dei pochi. Poi si ferma per un attimo, si porta una mano al mento, pensa, poi riprende: «Irpinia bella, …/ Mi volean morti i perfidi;/ ma tu m’alzasti da la sepoltura/ e mi scaldasti il cuore e apristi il ciglio,/ tu mi parlasti tenera/ e prendesti di me gentile cura/ come ti fossi il più diletto figlio». E non meno bella è “Monti dell’Irpinia”. «Monti ch’io non cercai, fate che almeno/ sian le mie strofe come l’aria lievi/ e rubino l’azzurro al ciel sereno/ e la bianchezza fulgida a nevi. […] Monti, purificatemi co’ venti/ freschissimi de l’alba, con la luce/ de l’aurora, con l’acque de’ torrenti».
Poi si ferma ancora. L’emozione è palpabile. Io resto in silenzio, pietrificato. Pensavo fosse una persona taciturna, ed invece, toccando i tasti giusti si era completamente liberata, esternandomi, forse, anche più del dovuto.
Restiamo in silenzio per un tempo che sembra infinito. Infine mi invita a bere un bicchiere di vino in onore di questa nostra terra, contadina e letterata, bella e sconosciuta, al di fuori delle rotte turistiche, difficile e mozzafiato.
La ringrazio signorina, accetto volentieri il suo invito. D’altronde oggi festeggio il mio compleanno, ed un altro bicchiere di vino ci starebbe bene.
