Ljuba senza scarpe e gli Elfi di Gran Burrone

Quando leggo notizie come questa, che fanno riferimento ad esseri in piena connessione con la natura (in questo caso Gli Elfi di Gran Burrone, nel pistoiese), mi ritorna in mente il mio Ljuba, protagonista di “Ljuba senza scarpe”, di cui vi lascio uno stralcio:

Vorrei non raccontarvi il mio sogno, ma portarvici dentro.
Non finì nemmeno di pronunciare quelle parole che dal fondo della stanza si alzò un vento, freddo e sferzante che divenne forte a tal punto da spegnere i restanti mozzoni di candele.
Ljuba continuava a tenere gli occhi chiusi, mentre i tre si guardavano intorno spaventati ed incuriositi.
La stanza piombó nel buio, ma fu solo per poco, perché nel volgere di pochi istanti furono avvolti dalla luce bluastra della luna piena. Le pareti scomparvero e si ritrovarono circondati da tronchi di alberi ad alto fusto, fitti, ma non tanto da non lasciar trapelare la luce della luna che splendeva lassù, tonda e candida in mezzo ad un cielo scuro ma terso.
Ljuba scese dall’albero, sul quale era salito per avvistare qualcosa , decisamente a proprio agio con i piedi nudi che usava imitando il modo delle scimmie.
Dobbiamo raggiungere il gruppo per compiere i riti per Freyja nel blót d’autunno, disse rivolgendosi ai tre rimasti ai pedi dell’albero. Dobbiamo affrettarci per vivere in pace e propiziarci la stagione del lungo inverno.
Chi….chi è Freyja pronunciò con voce sommessa Milena, mentre gli altri restavano sbalorditi per quanto visto ed udito.
Freyja è la dea dell’amore , della fertilità, ma anche della guerra e della morte. Ma è ora di metterci in marcia, dobbiamo unirci al blót prima che sorga la luce del sole. Si odono già i canti in lontananza.
Dalla cima dell’albero ho scorto dei fuochi verso nord, ed è lì che dobbiamo dirigerci.
Ljuba si incamminò di gran lena attraverso la boscaglia non eccessivamente fitta, camminando, quasi correndo, su un tappeto morbido di foglie cadute , come da sempre accade, nelle grandi foreste decidue del nord Europa.
Il clima autunnale di metà ottobre imponeva, a quelle latitudini, un abbigliamento ben più confortevole di quello da serata di cena casalinga che indossavano, e ben presto sia Katia che Milena cominciarono lamentarsi per il freddo.
Il freddo non esiste, sentenziò Ljuba, che non provava nessuna empatia per i due; piuttosto correte che i vostri muscoli flaccidi , da allevamenti in gabbia, si riscalderanno. Poi troveremo un gran fuoco e li sarete di nuovo al sicuro.
Katia era sbalordita , sia per quello che stava vivendo sia per le parole pronunciate dal suo uomo, che , in quelle condizioni, stentava a riconoscere.
Sembrava un lupo selvaggio , in cerca di preda, che alzava il naso al cielo per percepirne l’odore, lo annusava e d’istinto sapeva come muoversi.
Le sovvenne l’idea di un documentario visto tempo addietro, su di un bambino cresciuto da un branco di lupi, che divenuto adulto ne ripeteva le modalità .
Ljuba , mi stai facendo paura , ma sei tu il ragazzo lupo del documentario?
Ma no, disse lui sorridendo, ma come potrei, conosci la mia storia; diciamo che mi trovo più a mio agio in luoghi come questo che dentro quattro mura.
E si udì un tonfo provenire dal lato destro.
I quattro si fermarono all’unisono, voltandosi in quella direzione. Nel buio della foresta Ljuba non intravide nulla.
Sono gli elfi, che ci stanno seguendo. Bisogna essere attenti, possono essere molto cattivi, e tirò fuori dalla tasca delle rune, le prese in mano, le strinse in un pugno che diresse nella direzione del rumore. Pronunciò delle parole incomprensibili.
Ecco ora gli elfi dovrebbero starci lontano, ma riprendiamo a correre , il tempo stringe.
Ah, ecco a cosa servivano quelle pietre incise che continuavo a trovarti nelle tasche dei pantaloni e che mi hanno quasi distrutto la lavatrice, disse seccata katia. Accennó un sorrisetto, e riprese la corsa alle spalle del gruppo.
Marco era il più silenzioso di tutti, ancora incredulo per quanto stesse accadendo.
Ma è reale tutto ciò? Si chiedeva tra se, e non riusciva a trovare risposta. Siamo nel metaverso? Come diavolo siamo finiti qui? Pensava , aveva mille domande, ma non trovava le risposte. Però il freddo che provava era reale, il vento della fredda notte nordica tagliava la pelle del volto. Rallentò un attimo, si toccò il volto, poi toccò un albero, e infine il muschio che ne cresceva alla base. Tutto era perfetto, e l’analisi sensoriale era in linea con quanto provato fino ad allora nella sua vita.
Ljuba è un essere davvero magico, pensò e forse, per questo Katia ha tanto paura di parlare della Rainbow family. Corsero, camminarono e corsero di nuovo, a seconda delle asperità del terreno. Giunsero in prossimità di una radura , dove diversi uomini giravano in cerchio intorno ad un gran falò, e a distanza di alcuni metri, un cerchio più ampio, di sole donne, girava nella direzione contraria.
Una di esse si staccò dal cerchio e avvicinatasi pose una domanda in una lingua sconosciuta ai più, ma non a Ljuba.
Questi si girò verso gli amici e disse: ci chiede se abbiamo fame.
Mi sono permesso di rispondere a nome del gruppo, che non abbiamo fame.
Si certo, ben fatto, lo incoraggiarono gli altri.
Katia, alla vista di quella donna, dal fisico asciutto e completamente nuda, mostró dei segni di disagio.
Una rabbia antica cominciò a montare dal basso, a pervaderle il corpo, una rabbia che esplose nel momento esatto in cui Ljuba cercò di invitarli a prendere parte al rito orgiastico che si stava compiendo.
L’urlo di Katia riecheggiò in tutte le valli che circondavano l’altura sulla quale erano arrivati, tremarono le foglie degli alberi e le acque si incresparono. Si misero in allerta i cervi, e le linci, si svegliarono le famiglie delle api, che percepirono le vibrazioni dell’aria. Il suo urlo durò ben 5 minuti, continuo, senza respiro, senza esitazioni. Si fermò il carosello di uomini e donne intorno al fuoco, si voltarono tutti verso la fonte del rumore assordante e stridulo, ma nessuno ebbe il coraggio di fermarla o di tapparle la bocca.

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Pubblicato da Giuseppe Tecce

Scrittore di saggi e romanzi

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