La mia Russia

C’è stato un tempo in cui frequentavo assiduamente Mosca. Avevo un viso diverso, meno barba e strampalati occhialini tondi. Passeggiavo sulla Stare Arbat, la via che vide camminare Aleksandr Pushkin con la sua Natalia, che sentì l’eco dei passi di Bulgakov, e che forse fu percorsa, almeno in sogno, da Dostoevskij, con le sue visioni febbrili e le sue ombre interiori. È stato un tempo sospeso, in cui mi perdevo tra i banchi del mercato alla ricerca di una matrioska dal volto triste oppure di una scacchiera scolpita a mano, immaginando che in qualche angolo ci fosse ancora l’anima di Majakovskij, pronta a declamare i suoi versi colmi di parole. In quell’aria gelida, in un mercatino d’antiquariato, trovai un cappello militare che divenne un portale temporale, portandomi, all’istante, nell’epoca sovietica facendomi sentire il vigore dei canti sovietici. In quel periodo mi districavo bene tra i banchi dei mercati e le scritte in cirillico che sovrastavano le imponenti porte delle botteghe, e mi sentivo immerso nel mondo della letteratura che avevo sempre amato.

Pubblicato da Giuseppe Tecce

Scrittore di saggi e romanzi

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