Atarassia

Dalla sommità dello scoglio mi ergo come Poseidone sopra il mare infinito, prodigo di opportunità e di ricchezze.

Le tenaglie di Carcino separano, con delicatezza, i fili tessuti dalle Nereidi, e io, a torso nudo, mostro al mondo le mie vergogne, che vergogne non sono, ma figlie delle occasioni che il destino ha saputo offrirmi. Il vento, sibillino, mi ha portato notizie di te, dei tuoi disallineamenti e degli squilibri viscerali, delle discrepanze che percorrono il tuo dire e il tuo fare, delle parole che proclami e delle mosse atipiche che ti tradiscono. Non smetti di mentire a te stessa, ed è in questa menzogna che crei distanza, non tra ciò che dici e il mare, ma tra ciò che dici e il male che dissemini, scambiandolo per sapere divino. Ma tu di divino non possiedi nemmeno il sentore, e le tue mani, più delle tue parole, mostrano al mondo l’incongruenza delle tue scelte. Essere narcisisti è proprio questo: illudersi di essere altro rispetto a ciò che si è davvero, dimenticando che sono i gesti, e non le parole, a rivelare la verità.
Ed io, in piedi su questo sperone di roccia, guardando il mare infinito e le sue molteplici possibilità, ho compreso. Non più fendente, né giudice, né redentore. Solo custode di me stesso.
Ho lasciato che il vento si portasse via il tuo veleno, che le onde disperdessero il tuo magnetismo illusorio, che il sole prosciugasse ogni scoria residua della tua voce. Nell’atarassia ritrovata, il mare ed io siamo tornati a essere una cosa sola: incorruttibili, eterni, silenziosi.

Pubblicato da Giuseppe Tecce

Scrittore di saggi e romanzi

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