Se Bach è l’architettura e Beethoven la tempesta, Satie è l’evaporazione. La sua musica è il suono che fa il tempo quando decide di non avere più fretta. Ascoltarlo è come trovarsi in una stanza senza pareti, dove ogni nota si dissolve nell’aria prima ancora di poterla afferrare.
Le Gymnopédies sono il sogno di un fauno che ha perso la strada nel bosco, mentre le Gnossiennes sono la colonna sonora di un film che nessuno ha mai girato. Non c’è sviluppo, non c’è destino, solo la pura esistenza del suono. Satie non ti prende per mano, non ti accompagna: ti lascia lì, a galleggiare nel vuoto, in un eterno déjà vu di note lente e sospese.
Chi cerca emozioni violente, tragiche, esplosive, sbaglia porta. Qui si entra solo con la leggerezza di chi ha capito che la vita è un gioco assurdo, un pianoforte scordato che suona comunque, anche se nessuno lo ascolta.
