Arrivare alla Biogem è un viaggio nel viaggio. Qualcuno l’ha definita una cattedrale nel deserto, ma il paragone è ovviamente fuori luogo. Arrivare alla Biogem è già un incontro tra due mondi, quello del sapere contadino, che profuma di grano e pane appena sfornato, e quello del sapere accademico, della scienza, che profuma di provette e di solventi da laboratorio. Apparentemente i due mondi non si incontrano, ma esiste un limite, nemmeno tanto sottile nel quale essi, addirittura, si sposano, ed è quel luogo in cui gli antichi saperi della tradizione contadina incrociano quelli della scienza moderna. Le maestose mura che cingono il luogo sono il limitare simbolico all’interno del quale il mescolamento accade, e le sapienze si prendono sotto braccio, scambiandosi la loro essenza.
Quest’anno il Presidente, l’on. Ortensio Zecchino, ha voluto puntare proprio in alto mettendo a confronto l’intelligenza umana e quella artificiale, come se fossero entrambe poste sullo stesso piano, come se entrambe fossero figlie dello stesso processo evolutivo. In effetti, a ben pensare, lo sono, perché l’intelligenza artificiale è una diretta derivazione di quella umana, con un bagaglio di conoscenze ampliato quasi all’infinito, ma manca, almeno per ora, di quel qualcosa che la renda concretamente umana. Manca la scintilla generativa, manca quella fiamma tipica del genius loci che può dare avvio al processo generativo di cose nuove. E la capacità di generare cose nuove, cose che prima non esistevano e poi esistono, è prerogativa tipicamente umana. Forse un giorno anche questo accadrà, anche se ho dei forti dubbi, ma non è una caratteristica odierna. Però, nonostante tutto non si fa altro che parlare di intelligenza artificiale e delle sue potenzialità in tutti i campi. Io, in realtà, la cosa la vedo da un punto di vista leggermente diverso. Credo che il processo evolutivo della tecnologia non si possa e non si debba fermare, ma vedo quella tecnologia come una grossa opportunità di dialogo, come un moltiplicatore esponenziale delle capacità della mente umana, che già brillando di per sé, ha la possibilità di confrontarsi con i migliori esperti al mondo in ogni disciplina. Lo intendo come un allenamento continuo che una mente organica può fare, portandola a superare quei limiti tipicamente umani, liberandola dal bagaglio meramente mnemonico, lasciando spazio alle caratteristiche più umane, e cioè la fantasia e l’inventiva. Nell’ambito del viaggio tra le due intelligenze non poteva mancare un momento di confronto con il mondo della cultura, e nello specifico, della letteratura, accendendo i riflettori sulla nuova opera di Maurizio De Giovanni, “Il pappagallo muto”. Caso ha voluto che l’autore non fosse presente in sala, per un problema legato ai mezzi di trasporto, che però è stato un giusto espediente per ragionare sulla sua mente creativa, al limitare tra intelligenza umana ed intelligenza artificiale. Smaterializzato del corpo, si aveva l’impressione di ragionare di un qualcosa di “oltre umano”, mentre i relatori, di tutto rispetto, si arrovellavano tra il titolo del libro ed il dipanarsi di una storia costruita in modo da tenere sempre il lettore con il fiato sospeso. Il giornalista Marco de Marco, il collega Andrea Covotta, il fisico Antonio Ereditato si sono dati convegno alla Biogem per discutere delle intelligenze, partendo proprio dalla storia di Sara, protagonista del libro di De Giovanni, giungendo con un intreccio di parole, e tra aneddoti più o meno divertenti, alla conclusione che l’intelligenza umana, almeno per ora, surclassi quella artificiale, per inventiva, capacità di collegamento, e anche per il senso del divertire. A tal proposito mi pare giusto svelare l’origine del titolo del libro, che deriva da una barzelletta, che l’autore stesso definisce brutta, ma che ben spiega la duttilità della mente umana: un uomo mette in vendita diversi pappagalli, di cui egli stesso è proprietario. Ogni pappagallo ha delle qualità specifiche. C’è il pappagallo che parla, quello che canta, quello che sa fischiare e così via di seguito, fino ad arrivare al pappagallo muto. Ogni pappagallo ha un prezzo, determinato in base alle sue specifiche virtù, ed il più costoso di tutti è proprio il pappagallo muto. Un uomo interessato all’acquisto di uno di essi chiede spiegazioni sul perché ci fosse una tale disparità di prezzo e perché il costo del pappagallo muto fosse così elevato, a dispetto del fatto con fosse portatore di nessuna arte. Il proprietario risponde: “non so dirvi quali siano le qualità nascoste del pappagallo muto, o quali siano le sue virtù, so per certo che tutti gli altri pappagalli si rivolgono a lui chiamandolo maestro”. L’inventiva, di cui il popolo napoletano in primis è portatrice, è l’elemento che discrimina l’intelligenza umana e la rende visibilmente portatrice della scintilla divina. D’altra parte il Premio Nobel per la Fisica, Giorgio Parisi, ha detto: “L’intelligenza artificiale è stata addestrata come un pappagallo stocastico, ma sta diventando un pappagallo che qualcosa capisce. L’intelligenza artificiale non può inventare il futuro. Ha la conoscenza di tutto quello che ha scritto l’umanità e lo ricombina.”
