Ciao sono Roman, disse lui, tendendole la mano.
Roman? Rispose lei, guardandolo con sospetto.
Si, sono Roman Stepanovich Dorosh, piacere di conoscerti. Sono giorni che ti osservo. Ti dai un gran da fare per la nostra terra, la nostra patria e per i nostri uomini.
Ciao, sono Natalka, Natalka Ivanivna Diachenko, rispose lei, sfiorandogli appena la mano, indaffarata com’era a portare sacchi di riso verso il lato sud della piazza.

Fai presto Natalka, non perder tempo, urlava un gruppetto di donne, intente a cucinare su grandi fornelli da campo, posti proprio nella direzione in cui Natalka trasportava i sacchi.
Tutto intorno c’era il caos: uomini e donne danzavano al ritmo di musiche popolari sparate a palla, altri gettavano mobili e quello che trovavano nel grande fuoco acceso ai margini della piazza. A stento i furgoni carichi di viveri, scortati da uomini della polizia, riuscivano a passare attraverso la Boulevard Lesi Ukrainky, arrivando fino alla piazza Nezaleznosti, che tutti, ma proprio tutti, ormai chiamavano semplicemente Majdan.
Majdan in ucraino vuol dire piazza, ma nell’immaginario collettivo di un popolo quella si identificava con l’unica piazza della nazione, dove quaranta milioni di cuori battevano all’unisono, anelando quella libertà che per troppo tempo era stata negata.
Aspetta che ti aiuto, disse Roman, sembri così fragile, e saltò giù dal basso muretto che cingeva la piazza. Prese tre sacchi di riso, che erano appoggiati di lato, ma dovette subito lasciarne uno.
Sono pesanti, ci devi mettere tutta l’energia che hai per portarli. Eh sì, ci avevo visto lungo. Sei una vera patriota. Lo diceva con affanno, mentre teneva a stento i due sacchi, tirati per i bordi in juta, camminando con piccoli passi e tendendo il busto all’indietro per trovare il punto di equilibrio.
Stai zitto e aiutami. È quasi l’ora del pranzo e tutta quella gente, tra poco, vorrà mangiare. Credi che le rivoluzioni si facciano senza cibo?
Che caratterino che sta tirando fuori la biondina. Certo che ti aiuto. Mi è venuto già l’affanno. Per fortuna sono rimasti solo due sacchi di riso.
E quei dodici sacchi di patate laggiù in fondo, rispose lei, senza nemmeno dargli il tempo di finire la frase.
E quei dodici sacchi di patate, ripetè Roman sconsolato. Per la patria questo ed altro e gli spuntò un gran sorriso sul volto, fatto di pelle chiara bucata da due grandi occhi blu, profondi come il mare.

Il freddo era già pungente in quella fine di novembre del 2013, e mille sbuffi di vapore si alzavano al cielo dalle bocche delle miglia di persone accorse per manifestare la propria volontà di libertà.
La manifestazione, cominciata in modo spontaneo, come un corteo contro le intromissioni russe nelle vicende politiche ucraine, si era trasformata presto in un vero e proprio sit in permanente, con persone che si davano il cambio in maniera continuativa.
Nella piazza c’erano tende un po’ dappertutto. Qualcuno si riparava dal freddo e ci dormiva anche. A tratti la folla era oceanica. Qualcuno parlava o cantava dal palco che era stato montato sulla parte nord.
Cataste di ferri vecchi e di copertoni usati sbarravano in parte le strade di accesso. Alcuni varchi, presidiati da uomini armati, venivano aperti per lasciare l’accesso ai furgoni che trasportavano cibo e alle ambulanze, che si davano un gran da fare. C’era sempre qualcuno da soccorrere e capitava spesso che gli animi si scaldassero a tal punto da terminare con qualche scazzottata.
“Un po’ di attenzione”, chiese la voce della ragazza con i capelli corti sul palco. “Un attimo di attenzione, passo il microfono a Serhiy Nigoyan, che declamerà i versi del nostro sommo poeta Taras Ševčenco”.
Salì sul palco un ragazzo, uno come tanti, con un maglione di pail, fatto a larghe strisce orizzontali dai color sgargianti, con una folta barba nera, ed un cappello di lana, calato fin sopra alla fronte.
Il ragazzo prese il microfono, in maniera piuttosto goffa, si presentò e senza andare troppo per le lunghe, cominciò:
E gloria, cavalieri della libertà, a voi
Dio non vi abbandonerà.
Continuate a combattere, siate sicuri di vincere!
Dio vi aiuta nella vostra battaglia
Perché fama e libertà marciano con voi
E la verità è dalla vostra parte.
Le parole rimbombarono con forza nella piazza zittita all’unisono. I presenti ascoltarono con attenzione, ed il battito di mani, iniziato solitario, in qualche punto della piazza, diventò un suono contagioso che coinvolse tutti i presenti. Migliaia di mani battevano all’unisono e migliaia di bocche gridavano, alternativamente, Tasas Šcevčenco e Nigoyan.

Il ragazzo, sul palco, prese vigore, perdendo in parte la naturale timidezza, arringando il popolo con parole dure come la sferza che li trascinava verso un mondo libero dal giogo della mentalità sovietica. Era il vento di libertà che soffiava forte dall’Europa ed inondava la piazza Euromajdan.
Nigoyan sarebbe stato il primo a cadere sotto i colpi dei “berkut”di Janukovyč, ma in quel momento nessuno lo sapeva. Nessuno sapeva che la pacifica rivolta, che stava contagiando l’intero paese, sarebbe stata sedata nel sangue. I giovani sono programmati per costruire un futuro libero di volare in alto, e non per essere ancorati a vecchie ideologie, talvolta stantie.
Nella piazza era tornato, in forma più sommessa, il brusio. Gli sbuffi di vapore dalle bocche si mischiavano con il fumo dei fuochi accesi, per mitigare il rigore del primo vero freddo invernale. Da qualche parte si levarono al cielo bottiglie di vodka. Qualcuno ne aprì di nuove e riempì i bicchierini, che quasi ogni partecipante, aveva con sé. Ci fu un brindisi generale alla gloria Ucraina, a Taras Šcevčenko e a Nigoyan.
Un manifestante sollevato dagli altri, porse un bicchiere di vodka allo stesso Nigoyan, che lo raccolse di buon grado, chinandosi in avanti, sollevandolo poi verso il cielo e benedicendolo, poi, alla gloria Ucraina. In quello stesso istante, partì forte dagli altoparlanti, l’inno nazionale. La piazza si fermò di nuovo, commossa per il momento che stava vivendo. In quel momento non importava se fossero sopravvissuti o meno alla rivolta, avevano già accumulato la forza per vivere in eterno.
(Inedito tratto da “Tecnica di seduzione”, di Giuseppe Tecce)
