Voi non ci crederete, ma negli anni venti del III Millennio, c’era un ciabattino ad Ariano Irpino che aveva la capacità di far risplendere qualsiasi tipo di scarpa e di trasformarla da vecchia in nuova. Aveva un’arte nelle mani che nessuno possedeva nella zona. Gli abitanti del luogo non credevano ai loro occhi quando, portandogli sandali consunti o vecchi mocassini, consumati dall’usura e dal tempo, li restituiva come fossero nuovi. Il ciabattino, al secolo Sabino Grasso, era un uomo grande e grosso, di un’età indefinita, ma dall’aspetto prossimo ai sessant’anni. A dispetto della corporatura, le mani fini, con le quali padroneggiava attrezzi di precisione, erano il fiore all’occhiello di un personaggio che aveva brillato anche per altre qualità e delle quali parleremo in seguito.
Martello, forbici, lesine, trincetto, filo, aghi, mastice, pennelli, semenze e leva chiodi racchiudevano il mondo all’interno del quale si muoveva con disinvoltura, tanto da assumere l’aspetto di un sovrano da bottega, con palandrana come abito ed un pennello come scettro.
Maria, che gli aveva portato i sandali in cuoio della figlia, glieli aveva lasciati sul bancone: poi lo aveva guardato sospirando. Assuntina gli aveva portato i vecchi scarponi da lavoro del marito, scollati sul davanti, tanto che sembravano parlare quando li si indossava. Anche Assuntina glieli aveva lasciati sul bancone, poi si era fermata a guardarlo sospirando. Sandra gli aveva lasciato delle scarpe decolté, quelle col tacco, eleganti, che le donne erano solite indossare sotto abiti raffinati in cerimonie importanti. Sabino si era preso l’onere di sistemarle con dei sottotacchi, lucidarle finemente e consegnarle in tempo per la cerimonia. Anche Sandra, dopo avergli lasciato la busta di plastica contenente le scarpe sul bancone in uso ai clienti, lo aveva guardato sospirando.
Sabino a tutti quei sospiri non ci faceva nemmeno più caso. Erano la musica di sottofondo della sua vita: una sorta di leit motiv che suonava sempre uguale a se stesso, sin da quando, giovane impomatato della Ariano degli anni 80, aveva cominciato a far incetta di successi.
Per far comprendere al lettore il motivo di tanti sospiri, si rende necessario fare un salto indietro nel tempo, tornando proprio ai favolosi anni 80, quando in TV passavano le serie di Fonzie, Starsky e Hutch, Arnold e Hazzard. Era il tempo della Simmental, della Thatcher, di ET e di Papa Wojtyla. Sabino ad Ariano c’era nato e lì aveva trascorso i primi venti anni della sua vita, e, in verità, vi avrebbe trascorso anche i restanti. Era un giovane di bell’aspetto, dai natali modesti. La famiglia era di umile estrazione: il padre operaio della Fiat, la madre che si arrangiava con lavori saltuari presso le famiglie più agiate della città. Ma la fama derivante dalla bellezza di quel giovane aveva valicato i confini di Colle San Martino, diffondendosi a macchia d’olio nelle valli circostanti. Da Montecalvo, a Savignano, da Grottaminarda a Zungoli e Frigento, fino a Montaguto non si parlava d’altro che del giovane Sabino di Ariano Irpino. Anche le donne che vivevano nei borghi più lontani e che non avevano avuto modo di vederlo, sapevano di quel giovanotto dall’aspetto prestante, dal profilo greco, con corti capelli dai ricci portati cadenti sulla fronte, sempre profumato ed impomatato, e lo sognavano di notte. Qualche ragazza impaurita da sogni arditi e raccapriccianti, in un vortice di ormone e mistero, si era finanche rivolta al parroco, che l’aveva redarguita e messa in guardia sulla sfilza di peccati che stava commettendo, punendola con l’obbligo di recitare un rosario per intero, e non da sola, ma in compagnia della confraternita della parrocchia. Qualche donna più coraggiosa rubò di nascosto la 127 del padre, recandosi di corsa ad Ariano, per appurarsi di persona della veridicità di quel che si diceva in giro, restandone folgorata ed esterrefatta.
Sabino, che non lesinava moine con nessuna, era ben consapevole della gran fortuna che aveva ricevuto da madre natura, nascendo di bell’aspetto, con una pelle vellutata, ed un naturale profumo di rose che esalava dal suo corpo. Sin da piccolo si era adattato a fare mille lavori, pur di aiutare la famiglia a sbarcare il lunario.

Nessuno, però, sembrava andargli bene: il meccanico lo faceva sporco, il muratore era troppo faticoso, l’elettricista era pericoloso. Si racconta ancora di quella volta in cui il capo elettricista dovette recuperarlo in una intercapedine su un cantiere, dopo essere stato sbalzato via dalla forza di una scossa elettrica: “solo Dio sa per quale motivo non sei morto. Forse per non farmi passare un guaio”, ripeteva Vincenzo, il capo elettricista, che lo raccontava ovunque, quasi fosse un mantra che serviva ad esorcizzare ciò che già non era successo. Mosso da un sentimento di pietà, lo aveva finanche portato a visita presso l’ospedale cittadino, ancorché non manifestasse segni di particolare sofferenza. “La coscienza viene prima di tutto, e la sera voglio andare a dormire sereno”, continua a bofonchiare in giro, Vincenzo, come se avesse fatto qualcosa di straordinario. Ma negli anni ottanta il tema della sicurezza sui luoghi di lavoro non era poi così importante, ciò che contava sul serio era lavorare massimizzando il profitto. A discolpa di Vincenzo, va però precisato, che in seguito all’episodio chiese scusa a Sabino per l’accaduto, e gli fece dono di un SI della Piaggio, vecchio e sgangherato, ma funzionante. Quel motorino rappresentò, nella vita di Sabino, il primo e forse unico simbolo di libertà, di una libertà voluta, anelata, cercata e mai pienamente raggiunta.
Sul finire degli anni 80, Sabino era già noto per l’essere diventato un playboy, che poteva vantare nel proprio palma res decine di ragazze, delle quali lasciava traccia in un’agenda nera, che teneva gelosamente custodita, in un luogo sicuro, protetta da occhi e da mani indiscrete, a cominciare da quelle dei genitori. Si destreggiava bene tra una ragazza e l’altra e ad ognuna faceva intendere di essere l’unica donna della sua vita, per poi passare, inesorabilmente, alla malcapitata successiva. Si dice che abbia infranto i cuori di donne che non si ripresero mai più dal trauma, donne che decisero di restare zitelle per il resto della loro vita.
Passava le giornate davanti al bar, sorseggiando birra o prosecco, di tanto in tanto andava da un artigiano locale ad imparare un mestiere: quello del ciabattino, che in futuro gli sarebbe tornato utile, ma questo ancora non lo sapeva. I soldi per fare la bella vita, che tanto gli piaceva, glieli passavano le donne che frequentava. Si, perché Sabino, appreso il punto debole delle donne, si faceva mantenere, per l’ordinario, per i vizi e per gli stravizi. Sabino vestiva casual, ma rigorosamente di marca. Tutta roba di primissima qualità, comprata nei migliori negozi di Avellino e Benevento. Il tutto pagato e strapagato dalle ragazze che lo corteggiavano e che frequentava, alcune delle quali più grandi di lui, e già affermate professioniste. Per loro non era difficile sostentare un capriccio, coccolandolo come meglio sapevano. D’altra parte si sa che il lato materno femminile viene fuori nei momenti più impensati, quando meno te lo aspetti. Fu in quel turbinio di rapporti che Sabino conobbe Arianna, l’unica donna che non lo degnava di uno sguardo. Arianna era bellissima. Viveva a Flumeri, ma era nata nel Nord Italia, da un padre Irpino ed una madre Piemontese. L’accento diverso, il modo di muoversi e di camminare, il portamento regale, facevano di Arianna una preda appetibile agli occhi di Sabino. Quest’ultimo più volte fece degli appostamenti davanti alla porta di ingresso del grande magazzino, dove lei lavorava come responsabile di settore. E Sabino ci andava giù duro, con battute, richieste di appuntamenti, appostamenti con tanto di mazzi di fiori profumatissimi, ma Arianna non cedeva di un millimetro. La storia andò avanti per circa due anni, durante i quali Sabino dovette imparare a confrontarsi con un mondo che lo escludeva. La sua idea di essere irresistibile, e di dover necessariamente piacere a tutti, si stava pian piano affievolendo. Cominciò, progressivamente, a chiudersi in se stesso, dedicando sempre maggior tempo proprio al mestiere che lo avrebbe sostentato per il resto della sua vita: quello del ciabattino.
Trovò un inaspettato piacere nello scollare le suole consumate dalle tomaie ancora utilizzabili, nel sostituirle con suole costruite su misura, con cuoio e plastiche speciali che gli arrivavano direttamente dalla Germania. Il rumore del pennello, intinto nella colla, passato con forza e rapidità sul bordo della tomaia, gli venne familiare, a tal punto che lo utilizzava come ansiolitico naturale nei giorni in cui il cuore impazziva pensando proprio ad Arianna. Fu così che pian piano cominciò a frequentare sempre meno il mondo femminile, restando, negli anni, uno scapolo incallito.
Ciò, però, non gli fece perdere quell’alone di bellezza, che da sempre lo aveva caratterizzato, anzi, ad essa si aggiunse un ulteriore alone di mistero: il ragazzo più bello della zona, oramai diventato uomo, che dopo aver abusato dei sentimenti femminili, aveva deciso di restare da solo. I genitori, vecchi, avevano lasciato questo mondo da un pezzo, e Sabino, si ritirava sempre più in una vita fatta di lavoro, di scarpe e di un focolare solitario. E non faceva caso al fatto che la sua clientela fosse quasi esclusivamente femminile, che sospirasse ad ogni suo respiro, almeno fino a quando, una di quelle donne, gli offrì dei soldi per avere le sue scarpe, quelle che indossava di solito, impregnate del suo odore. Non dormì per tre notti, nell’intento di riflettere sul da farsi. La proposta fattagli era allettante: la donna gli aveva offerto 150€ per delle scarpe che, per come erano conciate, non avevano più alcun valore. Dopo tre giorni e tre notti di riflessioni, decise di accettare la proposta: i soldi li avrebbe reinvestiti in attrezzi da lavoro. In poco tempo la notizia di quella donna che era riuscita a bucare le difese di Sabino, acquistando delle scarpe pregne del suo odore, fece il giro della città, arrivando fino alle colline più distanti, e in men che non si dica Sabino si ritrovò subissato di richieste di scarpe da lui indossate, piene del suo odore e dei suoi umori. La notizia fece così tanto scalpore che ne parlarono finanche i giornali locali, che lo intervistarono, piazzandone la fotografia in prima pagina. Sabino, capì, da quanto stava accadendo che, per quanto potesse allontanarsene, non poteva sfuggire al proprio destino, che era quello di servire le donne più belle della città e non solo. Sabino, da quel momento, continuò a comportarsi da playboy, fino alla fine dei suoi giorni.(Inedito da “Storie dall’Irpinia”, di Giuseppe Tecce)
