Il Mazzamauriello deve essersi svegliato presto stamattina, per prepararmi tutti i dispetti che mi ha propinato. Sono certo di aver lasciato le chiavi di Celestina sempre al solito posto, ieri sera, quando sono rientrato. Avevo svuotato le tasche del pantalone di due corposi mazzi di chiavi, che avevo deposto nel piatto di ceramica colorata, che faceva bella mostra di se proprio accanto al porta sigari in radica di noce. Le chiavi erano al sicuro dentro a quel piatto, me lo ricordo bene. Eppure stamattina non ci sono più. In casa tutti dormono ancora, è l’alba, e solo gli audaci e gli insonni sono già in piedi. Credo di non riconoscermi in nessuna delle due categorie, pur essendo già sveglio da un po’. Di certo non posso definirmi insonne, e sempre con certezza posso affermare di non appartenere alla categoria degli ignavi. Ma nemmeno oltremodo audace potrei definirmi, quanto piuttosto aduso alle comodità dell’era moderna. Nonostante tutto, nonostante tutti gli accorgimenti, le chiavi non ci sono più. Mi metto a cercare. La prima cosa che mi viene in mente è di guardare nelle tasche del giubbotto, appeso all’appendiabiti di fianco alla porta. Infilo la mano nella tasca destra, poi in quella sinistra ed infine di nuovo in quella destra. Delle chiavi nessuna traccia. Subito dopo passo in rassegna le tasche del pantalone, tutte, quelle del giubbotto giallo, di quello verde e di quello blu. Nulla da fare, Teresa, il caso vuole che le chiavi non si trovino. Il caso poi? Se vogliamo così chiamare il Mazzamauriello, tante altre cose si dovrebbero attribuire al caso.
Teresa, il Mazzamauriello è un piccolo gnomo che si nasconde in casa per far dispetti. Li pensa di giorno, quando si nasconde dagli sguardi sagaci ed inopportuni degli abitanti della casa e li realizza di notte, quando esce allo scoperto, certo di non esser visto. In tanti ne hanno sentito la presenza, che si manifesta attraverso il rumore dei passi e delle sue malefatte, in pochi possono dire di averlo visto. Io mi onoro di rientrare in quei pochi che possono affermare di averlo visto, il Mazzamauriello.
Come potrei descrivertelo: un omino piccolo, alto non più di due mele sovrapposte, con delle gambette esili. In testa aveva un copricapo rosso, senza la punta, al di sotto del quale fuoriusciva una folta capigliatura disordinata. Addosso aveva una camicia bianca con un panciotto scuro, come scuro era anche il pantalone aderente. Era pressappoco come appare nelle rappresentazioni classiche. Mi è apparso nel dormiveglia, quando un tonfo sordido ha attratto la mia attenzione. Attraverso la fessura della palpebra sinistra, appena sollevata, lo osservai. Pensai anche di alzarmi per prenderlo: sarebbe stato uno scoop mai visto fino ad allora. Ma un peso enorme sovrastava le mie membra e mi teneva incollato al letto. Non riuscii nemmeno a sollevare il capo, che risprofondai nel sonno più profondo dove a lungo mi intrattenni con elfi e fate in un bosco, illuminato solo dalla luna piena. Mangiammo bacche e bevemmo fermentati, che, vagamente, assomigliavano al vino. Mi parlarono di un loro lontano parente, che gli umani delle mie parti sono adusi chiamare la bestia del grano: uno gnomo anch’esso, abitante dei campi di grano, che si diverte a far muovere come onda, nelle giornate in cui l’aria è più calda e ferma. È soprattutto nell’ora della controra che entra in azione, quando minore è la presenza umana, il sole alto nel cielo, ed il caldo determina correnti ascensionali che fanno librare in volo i falchi e gli avvoltoi.
E fu proprio nell’ora immota che, un giorno, mi tuffai tra le spighe imbiondite dal sole, correndo nell’ affannosa gara per acchiappare la bestia, che, inesorabilmente, vinse la sfida a me lanciata. Fu allora che intravidi code pelose, dal colore fulvo, a volte a punta bianca, spuntare sopra le cime del grano, prendendosi gioco dell’ira delle scimmie pelate. Corsi più forte del vento, feci cento capriole, rimasi senza fiato, ma, come sempre accade, non riuscii a catturare la bestia. Il grano continuò a piegarsi in onde sempre più profonde, nonostante l’assenza di vento: me ne andai con il rammarico di non poter raccontare nulla di nuovo rispetto a quanto narrato nei ritornelli dei canti a lui dedicati. Lega la bestia alla fascina, che paghi pena per la rovina. Stringila forte, stringila bene, legala all’ultimo covone, che paghi pegno per la stagione. Lega la bestia forte allo stelo, fallo subito, senza pietà, prima che attacchi e ti mandi steso. Me ne andai dal campo, con in mano una spiga appuntita come una forchetta, spigolosa come solo la natura sa essere, morbida ed accogliente nello stesso tempo.
Voglio capire dove, in casa, possa nascondersi il mio personale Mazzamauriello. Mi premuro di spostare finanche l’armadio per scorgere qualche fessura nel muro, all’interno della quale potrebbe abitare. Teresa, mi sono soffermato finanche a riflettere sulle sue possibili abitudini di vita. Un essere, copia in scala ridotta di un essere umano, un corpo biologico, può mai sopravvivere senza ingerire cibo? A rigor di logica direi di no. È ovvio pensare che anche quel corpo, per quanto piccino possa essere, abbia bisogno di immettere nel proprio circuito chimico, quegli elementi che precorrono alla vita. Ma non ho mai trovato rimasugli di cibo, in giro, ne tantomeno sono scomparse cibarie di mia proprietà. Il mistero si infittisce, e continuo a cercare ovunque le tracce della sua presenza e soprattutto le chiavi. Faccio il giro dell’intera casa, facendo sempre meno attenzione a chi stava ancora dormendo. La sorpresa della sparizione si stava trasformando in ansia ed in rabbia.
Torno nel luogo in cui tutto ha avuto inizio e, come per magia, appoggiati sul piatto svuotatasche, sono ben in evidenza i due mazzi di chiavi che tanto mi avevano fatto penare. Resto sbalordito, mi guardo intorno, non c’è nessuno. Prendo con gran fretta le chiavi, prima che possano sparire di nuovo. Le tocco, sono vere, sono materialmente esistenti, sono freddo metallo, che si scalda in fretta a contatto con le mie mani. Le chiavi di casa le sistemo nello zaino, le chiavi che rimettono in vita Celestina le ripongo, con cura, nella tasca del pantalone. Credo che sia ora di uscire di casa, senza pensare a nulla, tanto il Mazzamauriello mi ha fatto fesso per l’ennesima volta e gli eventi, che ho visto con i miei stessi occhi, è meglio ascriverli a fenomeni soprannaturali. Quanto meno tutelo la mia integrità mentale, senza stare a scervellarmi troppo. (Inedito da La Gente della Terra di Mezzo, di Giuseppe Tecce)


