Mi trovo al bivio per Andretta. Ho lasciato lì Celestina ed ho fatto due passi a piedi sulla statale che taglia il Formicoso. Una striscia d’asfalto che divide un’altura piatta e priva di vegetazione. In altri tempi ti avrei raccontato ancora che questa via segue il tracciato della Via Appia Antica, ma adesso non ne ho più voglia. Le cose non mi attirano più, o, almeno, non quanto le persone e le loro storie. Sono arrivato fino al guardrail che protegge gli automobilisti più audaci in una curva troppo stretta e falsa. Mi sono fermato ed ho guardato. Le ginocchia poggiate contro la barriera, poi il vuoto, ed il ventre poggiato ad un parapetto metallico. È freddo, mi procura i brividi, che però non sono nulla al cospetto di quello che avrei provato poco dopo. Ero distratto dallo smartphone che mi segnalava l’arrivo di un messaggio, ma una volta riposto nella tasca posteriore del pantalone, sono stato costretto a sollevare lo sguardo. Costretto dalle ansie del momento che mi trascino dietro ovunque io vada e che, a volte, mi spingono ad avere una fretta che non si addice alla bellezza del luogo in cui mi trovo. Resto senza fiato, ancora una volta questa terra così cruda e dura mi lascia senza fiato. Cerco un contatto con la realtà: mi volto dapprima verso destra. La via da dove sono venuto è deserta. Mi volto, poi, a sinistra; poco più avanti, al centro esatto dell’incrocio, ci sono dei cartelli stradali: Bisaccia, Calitri, Lacedonia, Andretta. Bisaccia, il paese di Franco, Lacedonia, quello di Mario, Calitri, quello di Franca. Ho un piccolo seme piantato in ciascuno di questi paesini disseminati su queste alture impervie, ma fertili. Mi volto d’improvviso, alzando, poi, lo sguardo di fronte a me. Questi luoghi mi sono così familiari che non posso non pensare che in una vita passata li abbia abitati. In fondo li riconosco istintivamente, emotivamente, a pelle, e a naso. Tutto mi è familiare, i colori, i panorami, gli odori e d’istinto mi accorgo di sentirmi a casa, accolto in un abbraccio tenero, tipico di una madre premurosa, che teme la partenza del figlio, che non vuole che vada, che gli da cibo in abbondanza per legarlo a se, per sempre.
Ho alzato lo sguardo ed ho guardato verso Sud, attraversando con la vista un terreno all’apparenza brullo, privo di vegetazione da fusto. Qui sotto c’è Morra De Sanctis, e li più avanti, sulla sinistra c’è il lago di Conza. E ancora Lioni, Teora, Materdomini, Calabritto, poi lo sguardo si alza verso l’imponenza austera dell’Appennino. È la magnificenza del massiccio dei Monti Picentini, un massiccio immenso, ricco di acqua e di fitta vegetazione, che divide la terra irpina da quella salernitana.
(Inedito da: La Gente della Terra di Mezzo, di Giuseppe Tecce)
