Ed è così che in una normale domenica di sole di fine estate anche io ho fatto il mio ingresso trionfale in paese, senza essere annunciato da nessuno e senza aver preavvertito alcun abitante del posto. Sprizzo felicità da ogni poro, percorro di corsa la breve ma ripida discesa che mi porta dritto nella parte bassa del centro abitato e sono sopraffatto dalla bellezza delle case in pietra, ben tenute e adornate di vasi di fiori. Dai balconi pendono gerani di ogni colore, la signora che passa per la strada con una pentola in mano è cordiale e mi saluta. Subito arrivo nella piazza centrale, c’è un’anziana signora alla bella fontana settecentesca, che lava dei secchi.
Un’ape si è posata su uno dei becchi e beve lentamente dalla fonte di acqua pura, attenta a non farsi travolgere dalla forza della corrente. Mi accorgo subito che il paese si evolve in verticale e che quasi non esistono strade che portano verso l’alto, quanto piuttosto delle scalinate più o meno contorte.
Penso che sia impossibile percorrerle con la bicicletta. Faccio un breve tratto, arrivo davanti a una porta aperta di quella che sembra una bottega. Fuori ci sono due uomini, uno intento a dipingere una tela messa su un cavalletto di legno,
e l’altro che si dà un gran da fare a portare dentro dei grossi ceppi di legno, che capisco poi essere delle sculture.
Mi presento, salve sono Giuseppe; salve sono Alessandro Norelli, pittore, e io sono Raffaele l’Osco Rabel.

