La Mefite

Finalmente trovo l’ennesimo cartello, fatto di legno, consumato dal tempo, sul quale a malapena si legge: “Mefite”, con una freccia che ne indica la direzione. La vegetazione si è fatta più fitta e tutto intorno al cartello ci sono dei cespugli, probabilmente di mirti e di rosa canina. Seguo la direzione della freccia, si deve imboccare una strada laterale rispetto a quella che stavo percorrendo. La via si fa ancora più sconnessa, e l’asfalto scompare del tutto. Davanti a me c’è una larga striscia di terreno battuto, delimitata sul lato sinistro da una staccionata in legno, che indica l’unico percorso percorribile. A ondate mi arriva al naso un odore nauseabondo di zolfo, capisco di essere arrivato nel luogo sacro. La staccionata finisce in uno slargo, anch’esso in terra battuta, e sembra quasi che si sia fatto di tutto per evitare che le persone giungessero fin quaggiù.
Subito dietro la staccionata svetta un palo con un cartello dalle dimensioni più grandi rispetto agli altri. Mi avvicino, c’è una scritta grande, ma in parte consumata dagli agenti atmosferici. Mi avvicino e leggo: “ESALAZIONI PERICOLOSE, VIETATO AVVICINARSI ALL’AREA CIRCOSTANTE IL LAGO”.
Be’ in effetti il vento soffia in direzioni variabili, dapprima verso il fondo della valle, portando aria pulita e ossigenata, poi, d’improvviso, in direzione opposta portando su, fino allo spiazzo, gli effluvi benefici e letali nello stesso tempo. Poggio la bicicletta alla staccionata, mi fermo a fotografarla. È bellissima e si staglia nitida rispetto alle bellezze naturalistiche della vallata circostante. Arrivo là dove la strada sterrata forma un altro slargo, mi avvicino ancora alla staccionata e vedo, proprio sotto di me, il laghetto della Mefite. In effetti, come è normale che sia di questi tempi, la mancanza di acqua fa sembrare quel luogo più una pozzanghera che un laghetto. Vedo chiaramente un foro nel terreno, tutto intorno la vegetazione è quasi completamente assente, e la terra assume sfumature diverse che vanno dal colore della sabbia, al giallo ocra, colori sicuramente determinati dalla presenza di zolfo. C’è un silenzio tutt’intorno che gioisce e spaventa nello stesso tempo, dal fondo del cratere si intravede un fiume di acqua che scorre sotterraneo, e si ode il ribollire tipico delle zone in cui vi è un’attività geotermica così forte. Il vento, amico fino a quel momento, visto che spirava dalle mie spalle in direzione della valle, cambia d’improvviso direzione portando verso di me una zaffata di odore acre e solforoso. Lo respiro, e il naso inizia a bruciarmi terribilmente. Sembra quasi che una sostanza causticante sia entrata in contatto con le mucose, rendendo dolorante tutta la parte interna del naso fino alla faringe, e capisco, ben presto, chi comandi da queste parti. La dea Mefite ha rimesso le cose al loro posto e ha fatto capitare a quello straniero visitatore, fin troppo ardito da pensare di avvicinarsi ancora al laghetto nonostante gli avvisi dei cartelli circostanti, un piccolo assaggio della sua potenza, dei suoi poteri donati da madre natura.
Mi copro immediatamente il naso e la bocca con la mano e mi porto un lembo della t-shirt dinanzi a esse. Mi allontano, le mucose bruciano, mi fermo in un posto più sicuro, e comincio a soffiare dal naso e a sputare quel sapore di zolfo che è rimasto imprigionato dentro di me. Capisco che è tempo di andare, riprendo la bici, e proseguo lungo quella stessa strada che mi aveva portato lì, fino al fondo della valle. Ora non scende più, ma sale. Vedo sulla sommità della collina che mi sovrasta delle pale eoliche, sono le stesse che ho attraversato nel percorso di andata. Prendo una stradina laterale, particolarmente scoscesa e rapidamente mi porto sotto di esse. Sono bellissime mentre girano nel silenzio e dominano l’intera vallata d’Ansanto. C’è un unico cespuglio sotto di loro, rigoglioso di foglioline e di calici rossi. È una rosa canina. Appoggio la bici delicatamente sul terreno e mi siedo accanto alla rosa a godere dell’impareggiabile bellezza della natura di questo angolo d’Irpinia.
(da L’agente della Terra di Mezzo)

Pubblicato da Giuseppe Tecce

Scrittore di saggi e romanzi

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