E’ morta Victoria Amelina, penna da scrittrice contro la guerra in Ucraina

“Una lettura di poesie a Kiev a dispetto di tutto, stanotte”. Era il 24 giugno. In cielo volavano i droni, ma Victoria Amelina era lì con il microfono in mano e i versi sulle labbra in un club della capitale.

Victoria che scriveva libri e vinceva premi, che inseguiva passo dopo passo il dramma di uno scrittore rapito e ucciso dai russi durante l’occupazione, e poi dirigeva festival letterari e dava la caccia ai crimini commessi dagli occupanti nei territori liberati.

Se n’è andata tre giorni dopo esser stata portata all’ospedale Mechnikov di Dnipro – il 27 giugno – per le ferite devastanti subite mentre mangiava una pizza a Kramatorsk insieme a una delegazione di giornalisti e scrittori colombiani.

“Per tutta la notte ho sentito le esplosioni, poi sono andata a dormire senza leggere le notizie – aveva twittato il 24 – la guerra è quando non puoi più seguire tutte le notizie e piangere di tutti i vicini che sono morti al posto tuo a un paio di chilometri di distanza. E tuttavia non voglio smettere di impararne i nomi”. Oggi è il suo, il nome che si piange in Ucraina. Aveva compiuto 37 anni il primo gennaio.

Se n’è andata il primo luglio, ma la notizia è stata diffusa ora con il consenso della famiglia. Victoria era una combattente senza fucili e con il sorriso sulle labbra, ma non per questo meno efficace e letale. Nel 2021 aveva creato un festival letterario nel Donbass, in un paesotto dal nome altisonante di New York che le pareva perfetto per dargli un nome ironico ed evocativo, il “Festival della letteratura di New York”; ma l’anno dopo era iniziata l’invasione e aveva rinunciato a quel nome iperbolico varando quest’altro: “Combattiamoli con la poesia”. Non c’era giorno in cui non lo facesse.

Membro di “PEN International”, nel 2018 aveva rappresentato l’Ucraina all’84esimo World PEN Congress in India tenendo un discorso su Oleg Sentsov, il regista e scrittore ucraino prigioniero politico in Russia, dove è accusato di terrorismo.

La scorsa estate era entrata a far parte della Ong per i diritti umani Truth Hounds. Documentava i crimini di guerra nei territori disoccupati in tutta l’Ucraina, ma si era concentrata in particolare su Kapitolivka, nella regione di Izyum.

Aveva recuperato il diario dello scrittore Volodymyr Vakulenko, un suo amico che scriveva romanzi per bambini. I russi lo avevano rapito e ucciso, Amelina ne stava ricostruendo le orme e il crimine per mantenerli vivi come ora qualcuno farà con lei.

Intanto stava scrivendo il suo primo libro di saggistica in inglese, “War and Justice Diary: Looking at Women Looking at War”, in corso di pubblicazione: è il racconto della battaglia quotidiana delle donne ucraine che – come faceva lei stessa – inseguono i crimini russi e li documentano con una tenacia e una costanza incredibili nel clima tetro e tra i pericoli della guerra. E intanto sfruttava le connessioni intellettuali che il suo mestiere di scrittrice le aveva permesso di creare, facendo appello ai governi degli altri Paesi per fornire ai soldati ucraini le armi con cui combattere; e intanto combatteva in prima linea per chiedere la creazione di un tribunale internazionale speciale per tutti gli autori dei crimini di guerra russi in Ucraina.

Così combatteva Victoria Amelina, mentre con il suo sorriso un po’ malinconico sulle labbra veniva fotografata in tutta l’Ucraina, e lei stessa riempiva i social di immagini scattate tra edifici distrutti e vite sconvolte, tra sopravvissuti e parenti delle vittime, con il suo cagnolone bianco con in testa il cappello col tridente, coi bambini a cui dedicava romanzi e con i ragazzi che nei locali si riuniscono a rielaborare il lutto della battaglia nelle forme della letteratura e della poesia.

La letteratura era rimasta solo mezzo passo indietro, rispetto all’impegno politico. Nata a Leopoli e trasferitasi con il papà in Canada, era tornata in Ucraina e nel 2007 aveva superato con lode un master in tecnologie informatiche al Politecnico di Lviv. Per dieci anni aveva lavorato nell’information technology per i grandi gruppi internazionali, un settore in cui gli ucraini sono eccellenza assoluta.

Ma nel 2014 la sua vita era cambiata per sempre. Era l’anno della rivoluzione del Maidan e dell’occupazione del Donbass e della Crimea, e Victoria aveva pubblicato il suo romanzo d’esordio: ”Sindrome di novembre, o Homo Compatiens”, selezionato per il Premio Valery Shevchuk. Da allora aveva lasciato la brillante carriera informatica per dedicarsi integralmente alla letteratura e poi alla battaglia per i diritti umani. Nel 2016 e nel 2021 aveva pubblicato due libri per bambini, “Somebody, or Waterheart” e “Storie-e-es of Eka the Excavator”. Nel 2017 il suo “Dom’s Dream Kingdom” aveva vinto una serie di premi internazionali ed era stato tradotto in molti di Paesi, come il suo ultimo “Home for Home”.

Il 27 giugno era al Rio Pizza di Kramatorsk insieme al deputato colombiano e fondatore di Aquanta Ucraina, Sergio Jaramillo; allo scrittore Héctor Abad e alla giornalista Catalina Gómez. Loro se la sono cavata con ferite leggere, Victoria Amelina era subito apparsa gravissima ed era stata stabilizzata sul posto e trasportata a Dnipro, dove è morta 5 giorni dopo. Con lei, la strage della pizzeria diventa ancora più grave: 13 morti, tra cui una ragazza di 17 anni e le gemelle di 14, e 64 feriti tra cui un bimbo di otto mesi. Un altro dei crimini russi di cui Victoria Amelina chiederà il conto: sarà la poesia a combattere la sua battaglia.

Pubblicato da Giuseppe Tecce

Scrittore di saggi e romanzi

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