<<Ci sono al mondo esseri superflui, creature in più, aggiunte senza peso…ma ai poeti, a noi poeti, noi paria e pari a Dio, è dato, straripando dalle rive, rotti gli argini, rubare anche le vergini agli
*Versi di Marina Cvetaeva (Mosca, 1892 – Elabuga, 1941), una delle poetesse russe più importanti del ventesimo secolo.
Autrice di liriche nella sua lingua, oltre che in francese e tedesco, sin dall’età di sei anni, divenne da adulta l’esponente più in vista del locale movimento simbolista.
Nel 1922 fu costretta in esilio dal regime comunista russo, prima a Berlino e Praga e poi a Parigi, poichè aveva celebrato con le sue opere la lotta anticomunista dell’Armata Bianca, in cui aveva militato anche il marito Sergej Ėfron. Tornò a Mosca nel 1939, dopo il misterioso omicidio del consorte e l’internamento in un campo di lavoro della figlia Ariadna Ėfron.
Si trasferì infine nel villaggio di Elabuga, dove visse isolata e in estrema povertà. Qui, il 31 agosto 1941, all’età di 49 anni, si impiccò nell’ingresso dell’abitazione rurale che aveva affittato da due pensionati del luogo.
🔴I POETI
(Marina Ivanovna Cvetaeva)
Da lontano il poeta prende la parola.
Le parole lo portano lontano.
Per pianeti, sogni, segni. Per le traverse vie
dell’allusione. Tra il sì e il no il poeta,
anche spiccando il volo da un balcone
trova un appiglio. Giacché il suo
è passo di cometa. E negli sparsi anelli
della causalità è il suo nesso. Disperate
voi che guardate il cielo! L’eclisse del poeta
non c’è sui calendari. Il poeta è quello
che imbroglia in tavola le carte,
che inganna i conti e ruba il peso.
Quello che interroga dal banco,
che sbaraglia Kant,
che sta nella bara di Bastiglie
come un albero nella sua bellezza.
È quello che non lascia tracce,
il treno a cui non uno arriva
in tempo.
Giacché il suo
è passo di cometa: brucia e non scalda,
cuoce e non matura – furto! scasso! –
tortuoso sentiero chiomato
ignoto a tutti i calendari…