Durante la seconda guerra mondiale si diceva: Italia Grecia, stessa faccia stessa razza, per indicare la vicinanza storica e culturale di due popoli posti su due sponde opposte del mar Mediterraneo. Oggi possiamo dire la stessa cosa per gli Ucraini ed i Russi: una faccia, una razza. Eppure qualcosa continua a non girare per il verso giusto. Ciò che stona è la violenza dei fatti e delle immagini, che contrasta con le parole pronunciate dallo stesso Putin, che spesso ha parlato di un popolo fratello. Ma nonostante le atrocità della guerra, qualcosa continua ad accomunare i due popoli. Qualcosa accomuna il ciclista morto a Bucha e l’attivista Russo che si è fatto fotografare in vari luoghi di Mosca con le mani legate, il volto riverso a terra ed il cappuccio in testa, ad imitare quei tanti troppi morti di quella guerra. Ciò che li accomuna è il sentirsi parte della storia. Tutti e due eversivi, a modo loro: il primo, suo malgrado, morendo per mano dei “Fratelli” Russi e lasciando al mondo un’immagine carica di atrocità e di tutto ciò che non dovrebbe mai accadere. Il secondo, sfidando la sorte in un regime sempre più totalitario ed opprimente. Le immagini dell’uomo disteso nelle strade di Mosca non sono meno potenti di quelle di Bucha. Stanno a dimostrare che anche nei momenti più cupi della storia non esiste mai un pensiero unico. C’è sempre chi vuole gridare al mondo di non essere complice di quanto perpetrato ai danni dei popoli fratelli. L’uomo di Mosca è il germoglio di un futuro sicuramente migliore.

