
Da ormai 24 giorni leggo e ascolto gli argomenti di quanti cercano di relativizzare le responsabilità russe nella guerra. Chiamati a dire la loro con una dovizia di spazi da par condicio di guerra che fatico a condividere, utilizzano ogni arma retorica, richiamo storico o macchia del paese invaso con lo stesso entusiasmo di guastatori fino a pochi giorni fa mostrato dai vari no vax o no pass che presidiavano le stesse trincee polemiche, con analogo spazio a disposizione.
Anche il meccanismo argomentativo quasi sempre è identico: la quasi totalità dei leader, dei parlamenti e delle opinioni pubbliche dell’Occidente ha una posizione convergente nella condanna alla Russia (così come ce l’aveva nella lotta al Covid), e questa è la prova che si vuole imporre un pensiero unico, a cui i creduloni prestano fede, il mainstream si uniforma e l’informazione di regime si allinea. Ma loro, sentinelle della libertà, non se la bevono. La verità è ben altra. E quindi via con le guerre americane, le armi vendute sottobanco, le eroiche lotte di un Donbass indomito contro i nazisti, il golpe del 2014, le mire della Nato, l’attore costruito presidente coi miliardi dei nemici della pace, e via argomentando e scopiazzando.
Chi studia la storia sa che per ogni guerra si può trovare un pretesto o una motivazione, dal ratto di Elena alle riparazioni tedesche. Ma anche che c’è una verità incontrovertibile: quando una guerra inizia con l’invasione di un paese libero da parte del suo vicino non c’è sofisma o distinguo che tenga per chi crede alla democrazia. La parte giusta è quella dell’Ucraina, e la responsabilità è tutta di Putin.