Una nuova vita per l’abitare

Condivido la bella intervista di Luca M. Possati a Johnny Dotti, pubblicata dall’Osservatore Romano, su un nuovo modo di concepire il rapporto tra essere umano, relazione e casa dal titolo:

Solo la carità racchiude il vero senso dell’abitare.

In numerose lingue, vivere è sinonimo di abitare.
Chiedere “dove vivi?” significa chiedere qual è il luogo dove la tua esistenza quotidiana forma il mondo.
Dimmi come abiti e ti dirò chi sei».
Le parole di Ivan Illich sono forse il modo per sintetizzare al meglio il senso del libro Generare luoghi di vita (Milano, Paoline 2022, pagine 122), un progetto editoriale che nasce dall’esperienza viva di Johnny Dotti e Chiara Nogarotto.
“Generare” luoghi che non siano semplicemente spazi statici, fermi, incapaci di entrare in relazione con l’identità e la vita di chi ci abita, è lo scopo di questo volume, che non è affatto una riflessione teorica sull’abitare e sull’architettura, bensì la testimonianza concreta che un modo diverso di relazionarsi all’abitazione e alla gestione dello spazio è possibile.
Uno modo che non sia dettato esclusivamente dalle logiche del capitalismo selvaggio, che non veda nel profitto e nel consumismo gli unici produttori di significato. «Le nostre forme di abitare sono forme distorte» afferma Dotti, pedagogista e imprenditore sociale che da anni vive in una comunità di famiglie a Carobbio degli Angeli, in provincia di Bergamo. «Sono sempre più schiacciate su forme separative, non su forme che aiutano la generazione di senso e i legami.
Dobbiamo renderci conto del fallimento del modello di welfare che abbiamo».
Le persone abitano il mondo e trovano in esso il loro senso, non stanno in un appartamento controllato da dinamiche speculative e dal mercato.

Da che cosa nasce questo libro?

Una radice importante sono le esperienze che abbiamo fatto nel mondo del welfare, che è diventato il mondo dei servizi per i disabili, gli anziani, i malati di mente, i carcerati.
Avendo ampiamente contribuito alla trasformazione di tanti servizi di ciò che è immaginato come welfare, ovvero una politica inclusiva e non emarginativa delle persone, una politica che cerca di generare una vita buona, ho constatato che il modello di welfare che si fonda esclusivamente sulla moltiplicazione di servizi specialistici è fallimentare.
Il problema che per me è sempre più evidente da almeno una decina d’anni è che le persone hanno bisogno di senso, di legami, e dopo di servizi specialistici.
Il modello consumista della nostra società ha invece trasformato tutto in produzione e consumo.
Gli stessi servizi sociali, i servizi educativi e i servizi assistenziali e sanitari purtroppo sono assimilati in questo grande meccanismo che non genera affatto senso e legami ma soltanto più consumo e più bisogni.
Seguendo questo modello non generiamo l’inizio di vite dignitose, ossia della ricerca di cambiamenti nell’esistenza di ciascuno.
Nella tradizione italiana, che è mediterranea e cattolica, la casa è sempre stata un nido e un nodo, e non un posto blindato dove tu immagini di avere di tutto e di più consumando attraverso dispositivi sempre più tecnologici.
Sono convinto che il Paese non riparte se non riparte la filiera che è sempre stata legata all’edilizia e alla casa, e che è una bella fetta del prodotto interno lordo.
Solo l’uomo abita, mentre gli animali stanno in una tana.
“Dio venne ad abitare in mezzo a noi” dice l’inizio del Vangelo di Giovanni.
L’abitare è la radice dell’esistenza. Aver ridotto l’abitare a un mercato speculativo è un’aberrazione umana.

Questa convinzione si collega anche a una esperienza personale.

Sì, io vivo da trentacinque anni in una comunità di famiglie e ho potuto sperimentare sulla mia pelle e su quella della mia famiglia il grandissimo valore della condivisione e della convivenza.
Non sto parlando delle comuni; bisogna capire la differenza.
Nella mia esperienza ognuno ha i suoi spazi.
I miei modelli sono i nostri paesi, le nostre piazze, le case a ringhiera, le cascine.
Tutti questi modelli includono una dimensione comunitaria, nel senso che il vicino ti riguarda, pur mantenendo ognuno i suoi spazi.
A partire da questa esperienza, insieme ad alcuni amici, abbiamo provato a sviluppare un po’ di progetti.
Abbiamo visto che esistono capacità reali, volontà di cambiamento e di generare spazi nuovi.

Uno dei temi centrali del libro è il rapporto tra la casa e il territorio. Rigenerare la casa significa anche rigenerare il territorio.
Questo va al di là della sfida ecologica.

Certamente.
Rigenerare la casa significa rigenerare anche il territorio e le sue tradizioni.
Le tradizioni sono i principi costitutivi che permettono di generazione in generazione di realizzare l’umanità del mondo.
L’innovazione è sempre una genesi, mai una nascita dal nulla.
Questo è particolarmente visibile in Italia.
Perché in Italia ogni piazza è diversa dall’altra?
La piazza è sempre stata un elemento costitutivo della nostra tradizione perché fa parte integrante del genius loci, cioè una specificità del posto, una sua unicità.
Il capitalismo ha invece eroso questa specificità e proprio per questo ha eliminato l’abitare.
Il capitalismo è nichilista: tende a standardizzare e riprodurre allo stesso modo.
L’abitare invece richiede un esserci originale, specifico, particolare.

Quali iniziative sono nate da questo progetto?

Sono in corso molte iniziative in alcune zone d’Italia dove, in modi diversi, sono coinvolte le famiglie che acquistano case o le affittano, le istituzioni, etc.
Un esempio concreto è il progetto abitativo Generavivo a Bergamo che è sorto sul terreno dove doveva esserci una casa di riposo.
Oggi è un’esperienza in corso dove quaranta famiglie — ne mancano una decina, ma so che arriveranno — hanno investito nell’idea che il vicino li riguarda.
E quindi non comprano una casa intesa come appartamento, ma comprano un luogo che li vede in relazione con gli altri.
Hanno spazi in comune, hanno deciso di fare una comunità energetica, ci sarà inoltre un gruppo di acquisto solidale in collaborazione con alcuni contadini.
A me interessa una visione comunitaria e orizzontale tra diversi, non immunitaria e chiusa tra uguali.

Qual è stata la reazione della politica locale a questi progetti?

Qualche politico, in maniera intelligente, capisce che questa è una via di sostenibilità per le città e che sarà un rimedio per il futuro.
Come faremo nei prossimi anni quando la maggior parte della popolazione avrà superato i 65 anni?
Ci sono persone sensibili a questi temi.

Qual è il ruolo della spiritualità e della fede in questo progetto?

Si può parlare di comunità in tanti modi diversi.
L’uomo ha bisogno di spiritualità, e soprattutto di spiritualità concreta, ossia di spazi e di tempi di silenzio, di vuoto.
Abbiamo bisogno di modalità linguistiche diverse come la musica, l’arte, la poesia, la letteratura.
Tutti questi progetti hanno alle spalle un grande spazio di spiritualità, anche intesa in modo laico.
Ogni luogo, ogni comunità la declina secondo le sue modalità.
Spiritualità vuole dire non rimuovere la morte dalla propria vita.
È uno spazio esistente nell’invisibile.
Nei nostri progetti ci sono tante persone di religione diverse: cristiani che vivono con buddisti o con atei alla ricerca comune di un senso.
Questa è la premessa della fraternità.
La fraternità è sempre tra diversi, mai tra uguali.

Un altro problema chiave è la città. Oggi assistiamo a una crisi generale delle città.

Esistono oggi enclave di ricchi che si costruiscono delle sorte di piccole comunità separate dal resto della città.
Sono comunità chiuse, il cui unico obiettivo è quello di proteggere la ricchezza.
Il nuovo modello abitativo che proponiamo si oppone a questa visione e cerca di essere più vicino alla città, più integrato nel territorio.
Nella stessa pianificazione dei nostri progetti ragioniamo con le parrocchie, con i comitati di quartiere e con le istituzioni locali.
Cerchiamo il coinvolgimento pieno anche dei soggetti del terzo settore, cooperative sociali e associazioni, che vogliono far parte di questi progetti e spesso sono mezzi di collegamento importanti.
In alcuni progetti poi cerchiamo di coinvolgere anche gli studenti.
La carità è il vero motivo ispiratore, questo è il punto fondamentale per noi.
La genialità del cristianesimo in termini di carità deve saper dire qualcosa alla modernità.
Le tradizionali forme di assistenza prodotte dal mondo contemporaneo sono a volte molto pericolose diaboliche.
Abbiamo bisogno di tornare a riscoprire la carità.

Pubblicato da Giuseppe Tecce

Scrittore di saggi e romanzi

Rispondi

Inserisci i tuoi dati qui sotto o clicca su un'icona per effettuare l'accesso:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s...

%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: