La dedico a noi.
Noi , quelle che cantano i poeti e quelle che gli uomini ammazzano ancora e ancora , per viltà, con becera convinzione di avere ragione.
E la dedico alle sorelle ucraine, ora piegate dalla follia di un uomo e costrette a difendere i propri figli portandoli al sicuro, lontani dalla loro terra, alle sorelle afgane, iraniane e di tutti quei Paesi chiusi nel guscio di ferocia e di onnipotenza maschile che continua a negare loro la dignità, alle sorelle sotto le macerie dei terremoti e di tutti gli altri conflitti che inaridiscono
l’umanità già tanto fragile e a quelle sorelle inghiottite dal mare con i loro figli, consapevoli che il buio della notte su una vecchia barca fa meno paura dell’orrore che le ha spinte a salirci.
Libellula in fiore
anima candida
raccoglitrice di miele
agnello sacrificale.
Ritratto di madre che allatta al seno
nutrice dell’universo
spirito in fuga.
Panacea di tutti mali
talamo di sensi
auditrice di ogni segreto sussurato sul seno accogliente
abra ancora in catene.
Mani operese
parole di consolazione
oltre i dettami delle convenzioni
versi incontrollabili
misere nella casa del carnefice.
Fiume che esonda
marea prosperosa
sorgente deliziosa
caverne buie.
Radici profonde
rami dai frutti succulenti
tronco diritto e forte
fango per gli scettici.
Emera, dea della luce del giorno,
come ogni donna.
(Carmela D’Auria)
