Figli di Putin.
Ci hanno spiegato subito che la Russia non avrebbe invaso l’Ucraina, mai mai mai, e che le informazioni di intelligence americana che lo sostenevano erano fake news, pollo chi ci è cascato. Il giorno dopo l’invasione hanno ripiegato: la situazione è “complessa”, ma sia chiaro, la Russia è stata costretta a invadere, non è nello stile di Mosca fare queste cose.
Hanno raccontato che sarebbe stata una guerra lampo, che i russi avrebbero preso Kiev in poche settimane, forse pochi giorni, e che agli ucraini conveniva arrendersi subito. Hanno messo in discussione i bombardamenti sui civili, come la strage al teatro di Mariupol, hanno parlato di set, attori e figuranti sotto finte bombe e con il succo di pomodoro al posto del sangue, quindi hanno avanzato pubblicamente l’ipotesi che i civili massacrati a Bucha fossero una messinscena, comparse pagate per fingersi morte in strada, il tempo di essere riprese dalle telecamere oppure, al limite, morti veri sì, ma uccisi dagli stessi ucraini per scaricare la colpa sui russi davanti all’opinione pubblica internazionale.
Hanno chiesto di sospendere ogni giudizio sul massacro in mancanza di una commissione d’inchiesta internazionale o di un congelamento della scena del crimine, come se Bucha fosse Garlasco o lo chalet di Cogne. Davanti all’evidenza dello sterminio, delle fosse comuni, degli stupri, delle razzie taluni hanno scelto una linea alternativa: e allora la Libia? E allora l’Iraq? E allora l’Afghanistan? Facendo strage in un colpo solo del principio di umanità e di quello di logica, visto che deplorare l’interventismo statunitense avrebbe dovuto spingere per coerenza a fare altrettanto con quello russo. Invece no: se gli Stati Uniti invadono l’Iraq, maledetti yankee guerrafondai; se la Russia invade l’Ucraina, pure.
Hanno scritto sui giornali e sui social, detto in tv e nei teatri (la linea complessista fa sbigliettare) che più l’Occidente forniva aiuti militari all’Ucraina e più Putin avanzava, poi davanti all’evidenza del contrario hanno spiegato che l’esercito russo non si stava ritirando, era una finta, una trappola, una coreografia di truppe.
Hanno scritto appelli per la “pace” sostenendo al punto uno che Putin ha le armi atomiche, quindi meglio non disturbare i suoi piani. Hanno gridato che non è mica Putin a non volere la pace, lui buonuomo si siederebbe al tavolo delle trattative domani, bensì i suoi nemici – l’Occidente, gli Usa, la Nato – a voler prolungare la “guerra per procura”. La chiamano così. Sta a significare che agli ucraini è negato persino il riconoscimento della dignità: non stanno combattendo per difendere la loro libertà, appoggiati da quanti credono che la resistenza di Kiev sia la battaglia dei democratici di tutto il mondo. No, combattono “per procura”, in quanto pupazzi di Biden, in quanto mercenari, in quanto guerrafondai, perché a loro piace così e vogliono trascinarci tutti nel baratro della guerra mondiale. Si sono scandalizzati che la stampa abbia raccontato il fenomeno degli intellettuali filo putiniani. Hanno obiettato: “Falso, non esistono!”. Gli è stato fatto l’elenco: “Lista di proscrizione!”. Ne sono state citate le dichiarazioni filorusse: “Non basta, bisogna saper confutare le loro tesi!”. Ne sono state confutate le tesi: “Siamo al pensiero unico!”.
Si sono appigliati a qualunque magagna della fragile e acerba democrazia ucraina pur di dimostrare che Mosca e Kiev pari sono. Hanno suggerito agli italiani che non valeva la pena fare alcun sacrificio per gli ucraini, pena l’aumento delle bollette, i tagli alla sanità, un’atomica su Urbino. Si sono indebitamente appropriati della bandiera della pace e delle nobili ragioni del pacifismo per nascondere il motore e la natura reali delle loro tesi, hanno dragato il fondo del menefreghismo, del qualunquismo, del darwinismo geopolitico.
Però in una cosa sono rimasti coerenti: se li accusi di replicare le tesi del Cremlino, trasecolano e frignano tutti ancora come il primo giorno.