La scienza contro i Rasputin

Oggi vi voglio invitare ad una seria riflessione, che mette a confronto la scienza, quella vera, contro i Rasputin di turno, ossia la superstizione e la magia.
Oggi è stata resa pubblica la notizia che un ragazzo di Torino, Michael, è ritornato a camminare, dopo aver perso l’uso delle gambe, 5 anni fa, a causa di un incidente, grazie a degli elettrodi impiantati nella schiena. È la prima volta nella storia che un paralizzato riacquista l’uso delle gambe. È un risultato storico che apre le porte ad un mondo di speranze per migliaia di persone.
Dall’altra parte abbiamo una famiglia, con un figlio di 2 anni, grave in ospedale che ha bisogno di un intervento al cuore urgente che potrebbe salvargli la vita. I genitori non hanno firmato la liberatoria perché non vogliono che venga trasfuso al figlio il sangue di persone vaccinate.
La magia e la superstizione può portare anche a questo.
E voi da che parte state?

L’agente della Terra di Mezzo

Che giornata quella del 3 Febbraio 2022.
L’agente della Terra di Mezzo è finalmente arrivato su questa terra. E il bello è che arrivato praticamente quasi in contemporanea in mezza Italia. Gli amici che hanno sostenuto la campagna di crowdfunding lo hanno ricevuto per primi, ad eccezione di un’amica del nord a cui è arrivato semplicemente un pacchetto vuoto. Ma tra tantissime copie spedite, avranno fatto un errore e la casa editrice si è immediatamente messa all’opera per risolvere il problema.
Grazie a tutti, grazie all’editore bookabook che ha creduto nel progetto.
Per tutti gli altri, se siete curiosi…. Lo trovate in tutte le librerie e in tutti gli store on line.

#giuseppetecce #lagentedellaterradimezzo

Le regole del ciclista

Sono uscito in bici, mi trovo a Mirabella Eclano, una lunga salita mi ha portato qui, è l’inizio dell’alta Irpinia, secondo alcuni dell’altra Irpinia. 

Una donna grida: “Iesc a’lla!”. Attira la mia attenzione. Mi fermo, guardo la scena. No, no, non è una donna musulmana, ma una contadina che intima alla propria figlia di spostarsi. Qui il dialetto è figlio di una stratificazione di culture e di un isolamento atavico, che risale a quando fu deviata la via Appia antica, che ha tagliato l’alta Irpinia fuori dalle rotte commerciali e dagli appetiti dei ricchi commercianti.

È qui che incrocio il primo ciclista, come me, vestito da ciclista, spalle dritte, testa alta. Alza una mano: “Salve collega!”.

È il primo di una piccola schiera di ciclisti, che erano stati di poco distanziati. Uno alla volta, come su un carillon, sfilano dinanzi a me in direzione opposta e in sequenza, alzando la mano: buongiorno, salve, buongiorno, salve, salve, buongiorno.

La prima regola del ciclista è salutare sempre gli altri ciclisti. Loro, come te, sostengono uno sforzo che agli altri è sconosciuto.

Alzo la mano con religioso rispetto e strozzati in gola si fermano sei “buongiorno”.

La seconda regola del ciclista è che se sei in discesa saluta pure affettuosamente, ma se sei in salita saluta solo con un cenno della mano, il collega capirà le motivazioni. 

Proseguo la mia strada, ancora salita, mi trovo a un bivio: a sinistra strada dritta e pianeggiante, direzione Grottaminarda, a destra ancora salita, è l’appia antica, che attraversa il territorio di Fontanarosa per inerpicarsi su su fino a Frigento e poi sul Formicoso. Ovviamente svolto a destra, le pianure non mi sono mai piaciute.

Lentamente mi trovo a passare davanti a una massaria, il padrone di casa, è seduto sul bordo di un antico abbeveratoio per buoi, e grida: “Hai bisogno di acqua”. Sorrido, mi fermo, accetto l’invito, e riempio la mia borraccia di acqua freddissima. È l’acqua dei Monti Picentini. Scambiamo due chiacchiere.

La terza regola del ciclista è che bisogna mostrare benevolenza e rispetto per i contadini locali, veri custodi del territorio: loro spesso sono i padroni di feroci molossi che hanno la passione per rincorrere e azzannare i ciclisti. 

L’inoculazione, la caduta ed il volo

Andrea andò a fare il vaccino con meno spensieratezza delle altre volte. Era arrivato alla terza dose, e non sapeva se essere felice per esserne rimasto ancora indenne o essere dispiaciuto per il fatto che si sentisse quasi un tossico alla ricerca spasmodica della prossima dose.

Arrivò al centro vaccinale trafelato, avendo in mente le parole di Genny: lo sai che Adele dopo la terza dose, una volta a casa, è svenuta, cadendo e procurandosi una profonda ferita sulla guancia e sulla fronte.

Andrea mostrò la prenotazione al tipo davanti al cancello, ottenendo un ticket, necessario per mettersi in coda davanti all’ingresso. Attese per  40 interminabili minuti prima che la fila scorresse e si ritrovasse faccia a faccia con l’operatore della protezione civile, che con modi scortesi lo invitò ad entrare e a recarsi presso lo sportello per validare la prenotazione.

Il contrasto tra l’aria esterna, fredda, e l’aria calda interna provocò l’appannamento degli occhiali, e la mascherina FFP2 malmessa fece il resto, peggiorando la situazione.

Che caldo, pensò, mentre era in coda nell’ampio atrio della vecchia caserma, adibita a centro vaccinale.

L’ansia non si teneva più dentro e strabordava in tanti modi : dapprima la gamba destra cominciò a muoversi come impossessata, poi si ritrovò a tamburellare col piede sul pavimento ed infine ad allargare il girocollo, che pareva stringersi attorno alla gola, tirandolo col dito indice della mano destra.

Si guardò intorno. Era circondato da un’umanità varia e sconosciuta. C’era il tizio basso e largo, guance rosse e giubbotto sbottonato, quello di sicuro avrà la pressione alta, pensò. C’era la tipa magra magra, appena ingobbita, con il mento nascosto nel lembo più alto del cappotto di panno pesante, ed abbottonato fino all’ultimo bottone. Il ragazzino, dietro, sbuffava, mentre la distinta signora, di lato, sospirava per l’ansia e per passare il tempo. La fila scorreva lenta e l’omino allo sportello era piuttosto pignolo: voleva la tessera sanitaria ed un documento. Ne leggeva il codice a barre con uno scanner e poi stampava tre fogli che consegnava al paziente di turno, indicandogli, poi, la via da seguire. Quando fu il turno di Andrea, terminata la solita trafila dei documenti, lo instradò verso sinistra. Ecco vede quella coda? Si metta li dietro, ed aspetti il suo turno.

Siamo dei pazienti, disse Andrea sorridendo, ci sarà pur un motivo….

Si spostò in fondo all’ulteriore coda, reclinò il capo. La mascherina affaticava la respirazione, la scostò leggermente dalla bocca per prendere una boccata di ossigeno, fu investito da un fetore misto di azoto e zolfo. Qualcuno aveva scorreggiato, ma l’uso comune delle pesanti mascherine ne aveva attenuato l’effetto sulla popolazione.

Furono altri 20 minuti di attesa. Arrivò il suo turno e fu mandato in una stanza, grande quanto un intero trilocale. Parlò con un medico, seduto dietro ad un banco, di quelli scolastici, piccoli. Firmò un foglio di accettazione del vaccino che stavano per somministrargli e finalmente si mise in coda per accedere alla sala vaccini.

Le sale vaccinali erano divise : sulla sinistra si apriva la sala riservata alle donne e sulla destra quella riservata agli uomini.

Entrarono in cinque e presero posto sulle cinque poltroncine disposte a raggiera nella stanza. Passò l’infermiera, con cinque siringhe già pronte poggiate orizzontalmente in un vassoio metallico. Toccò ad Andrea. Scoprí il bicipite e si lasciò praticare l’iniezione. Fu indolore e priva di sensazioni.

Fu accompagnato nella sala di attesa post vaccino, dove, dopo ulteriori 15 minuti, gli fu consegnata l’attestazione di avvenuta somministrazione e fu libero di andar via.

Uscì dalla porta laterale, abbassò la mascherina e finalmente poté respirare ossigeno, fresco ed inodore.

Il pensiero di Adele, del suo malore, e le parole gravide di pathos di Genny, si insinuarono ben presto nella sua testa. Quando arrivò allo sportello della macchina ebbe una vertigine, la vista gli si annebbiò, gli tremò la mano.

Tornò a casa guidando in maniera distratta, a tratti pensò di non ricordare più nemmeno la strada.

Parcheggiò la 500 X amaranto proprio sotto casa e corse nel suo appartamento.

Bevve con ingordigia un’intera tazza di acqua. Era solito usare le tazze in luogo dei bicchieri, perché più capienti. Si toccò il punto esatto del braccio in cui era stato iniettato il farmaco e non sentí dolore.

Strano, pensò, nelle due precedenti somministrazioni il braccio era stata la prima parte del corpo a dolermi, ed ora mi dolgo per il mancato dolore.

Riguardò con attenzione il selfie che aveva scattato al momento del vaccino. Era indubbio: l’ago era stato infilato nella carne. L’idea che l’infermiera avesse fatto una finta iniezione era da scartare completamente.

Si sedette sul divano. Il televisore trasmetteva immagini colorate,  senza l’audio, che era stato eliminato. Passarono due ore, si trascinò in cucina per prepararsi il pranzo.

Terminò in fretta. Non avvertiva né il dolore al braccio, né sintomi di altro tipo. È impossibile, pensò, Adele è svenuta dopo il vaccino. Devo restare vigile ed in attenzione, che da un momento all’altro toccherà anche a me.

Passò ancora un’ora,  ma nulla di strano accadde. Accese un fornello, poi lo spense, pensando fosse pericoloso. In caso di mancamento, non solo si sarebbe spaccato il volto, ma avrebbe rischiato finanche di bruciarsi.

Si spostò, quindi, in camera da letto. Avvertì un lieve dolore al piede sinistro ed un accenno di zoppia. Prese la stampella che aveva riposto nell’armadio tempo addietro, ed utilizzata per via di una caduta.

Camminò con quella all’interno della casa per abituarsi. Simulò più volte una caduta, ma, di fatto, la caduta non arrivò , e nessun mancamento gli si presentò.

Le parole di Genny gli rimbombavano nella testa: se Genny aveva pronunciato quelle parole, non poteva essere altrimenti. Prima o poi, come è accaduto ad Adele, io mi ritroverò in terra, spaccandomi lo zigomo o forse la fronte.

Pensò che la cosa più saggia sarebbe stata quella di riempire il pavimento di cuscini e di altro materiale morbido, che avrebbe potuto attenuare la caduta, in caso di necessità. Così fece, cospargendo l’ampio pavimento di guanciali e cuscini da divano. La casa divenne un tappeto colorato e soffice, che avrebbe potuto fare la felicità di qualsiasi bambino.

Si sedette poi sull’ampio divano, restando in ascolto del proprio corpo, delle proprie emozioni, delle proprie sensazioni. Rimase così per tre ore, nel silenzio, pensando a Genny e ad Adele.

Poi dalla schiena gli spuntarono due ali e, senza saperne il perché, volò via.

 

 

 

 

 

 

 

La Tibia che suona nella Terra dell’Osso

Lo Sponzfest è il famoso festival estivo di Calitri, voluto e diretto da Vinicio Capossela.
La notte del 28 agosto 2021 è culminata con un concerto all’alba della domenica 29 sulla vetta di Cairano: la Tibia che suona, una fanfara di zampogne, convenute dal Pollino all’Appennino Emiliano il cui suono arcaico si è sparso per le coste delle montagne interne.
Il clima tipicamente Irpino, poi, ci ha regalato un’atmosfera carica di nuvole e suspance.
Non potevano chiedere di meglio.
Anche tu puoi contribuire alla prosecuzione del nostro progetto, e puoi farlo in tre modi :

Iscrivendoti al canale youtube
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Acquistando il libro “L’agente della Terra di Mezzo”, Bookabook editore
https://bookabook.it/libri/lagente-della-terra-mezzo/

Contattandomi al
393 9302873
Per raccontarmi di altri straordinari segreti della nostra terra.

Tichh Nhat Hąnh

Senza creare scompiglio, nella pace più totale, ieri ci ha lasciato Thích Nhất Hạnh, che è stato tante cose nella sua lunga vita, ma che potrei sintetizzare con due espressioni : monaco buddista vietnamita, poeta ed attivista per la pace e padre della mindfulness, che magari molti di voi praticano.
Sat Nam… Thích Nhất Hạnh.

Il mio topo viaggia in tutto il mondo

Nunzio vobis magnum gaudium,
Storia di un Presidente che si credeva un topo è arrivato a Novosibirsk, in Siberia e ora sta lì a – 20.
Che topo meraviglioso e ringrazio le amiche Julia e Polina per questa bellissima e graditissima sorpresa!
Ad maiora

Quando ho conosciuto i Dervishi grazie a Battiato

Correva il mese di Aprile del 2014 e ancora una volta Battiato entra con prepotenza nella mia vita. Ero ad Istanbul per un progetto europeo sulle disabilità. Dopo 4 giorni di lavoro ad Izmit sul mar di Marmara, ci trasferiamo ad Istanbul per una due giorni di visita. Dopo una lunga giornata trascorsa tra Aghia Sophia, la Moschea Blu ed il Suq, mangiando baklava come se non esistesse un domani, arriva la sera. I miei colleghi decidono di andare in un ristorante sul Bosforo. Ma io avevo altri programmi.
Dopo giorni interi passati ad ascoltare e a cantare Voglio vederti Danzare di Franco, il verso relativo ai Dervishi Rotanti mi rimbombava nel cervello. Potevo non approfittare della mia presenza ad Istanbul per andare a salutarli? Così, sfanculati i miei colleghi, vado dal portiere dell’hotel e gli spiego della mia passione. Ci pensa un attimo, poi mi dice: sei fortunato oggi è giovedì ed è il giorno in cui si riunisce una confraternita Sufi dove ci sono i Dervishi. Chiama la confraternita, si accerta che gli stranieri siano ammessi, e mi chiama un taxy, arrivato in 10 minuti, dandogli indicazioni precise su dove portarmi. Il tassista parlava solo in turco ed era complicatissimo approcciarsi a lui. Presto lascia le strade principali ed inizia a spingersi nei vicoletti della città antica, pavimentati a basoli e illuminati da lampioni a luce gialla. Era la città più antica, quella romana. Arrivato ad un certo punto si ferma. La macchina non poteva procedere oltre, i vicoli erano eccessivamente stretti. Mi fa scendere, pago e mi indica con la mano di andare dritto e poi di svoltare a destra. Erano le 20.30 di un giovedì di aprile. Era già notte fonda, nei vicoli non c’era anima viva e tutte le case erano chiuse. Mi in cammino, così da solo, nella direzione che aveva indicato, sperando di aver capito bene. Fortunatamente dopo 5 minuti di cammino tiro un sospiro di sollievo, quando in fondo ad una strada vedo un’insegna accesa con una parola che assomigliava a quella di confraternita. Busso alla porta e mi apre una donna, gentilissima. Mi prende con cura il giubbotto e lo appende, mi fa togliere le scarpe e le ripone in una enorme scarpiera a muro piena fino all’inverosimile di altre scarpe. Poi, scalzo mi fa entrare in una grande sala con una grande rotonda di legno al centro e due spazi laterali, uno a destra ed uno a sinistra allestiti con delle sedie. Sulle sedie a sinistra vi erano solo uomini, e in quello opposto vi erano solo donne. La signora che mi aveva accompagnato mi dice in inglese che era proibito fare fotografie e si congeda. In 10 minuti entrano sulla rotonda circa 10 uomini, vestiti con mantelli scuri, che ben presto tolgono mostrando gli abiti tipici dei dervishi, con la parte bassa formata da una gonna scampanata che forma quella tipica figura quando iniziano a girare. Un uomo più anziano li tocca sulla fronte, uno per uno, dando inizio alla parte mistica. Recitando delle preghiere i 10 uomini iniziano a volteggiare al centro della rotonda, prendendo presto la tipica posizione dei dervishi rotanti in preghiera. Si perché in sostanza, quello è il loro modo di pregare. Sono asceti della religione musulmana, accaniti sostenitori della pace e per questo, spesso, non ben visti dai musulmani radicali. Nel mentre che si svolgeva lo spettacolo, ci portano delle vivande: prima dei contenitori con una pasta, che sembrava cotta al forno e poi una bevanda a base di kefir veramente buona. Finiti tutti i volteggiamenti, dopo circa 45 minuti, prende la parola un uomo anziano, ben vestito, che, seduto al centro della rotonda, inizia a predicare. Non so cosa dicesse in turco, ma una cosa la so per certa e cioè che tutti i presenti all’unisono iniziarono a piangere, in un pianto a dirotto, che non trovava consolazione. Finita la predica, tutti i presenti si mettono in fila davanti a quest’uomo ed inizia un baciamano intenso, anzi qualcuno gli si butta ai piedi, baciandoglieli. Per non mancare di rispetto a questa persona, mi metto anche io in coda e gli bacio la mano. Finito tutto quello che c’era da fare, verso mezzanotte usciamo all’esterno del centro culturale. Solo, spaesato, senza sapere la lingua e senza sapere dove mi trovavo, faccio 10 passi verso la fine del vicolo, quando da dietro sbuca una macchina grande, una di quelle a 7 posti, e dentro si sbracciano 4 persone, che poi riconosco essere presenti nella sala. Di fatto si offrono di accompagnarmi in hotel e con un’ospitalitá come poche mi offrono da bere, e poi gomme da masticare e quant’altro fino a quando non mi lasciano davanti all’ingresso dell’hotel.
Anche in quella giornata fui grato a Battiato che aveva influenzato l’andamento della mia esistenza.
Ps: le foto che qui posto sono un dono, perché sono riuscito a scattarle di nascosto.

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