Alla scoperta di Sturno, sulla Valle dell’Ufita.

Quante sorprese può riservare una terra che potrebbe sembrare, al primo sguardo, come secondaria. Ma secondaria rispetto a chi poi? Come se esistesse un’Italia maggiore ed un’Italia Minore. La nostra terra non è figlia di nessun Dio minore. E’ una terra ancora selvaggia, di natura e di esseri umani, fiera di entrare nel terzo millennio con la forza della natura che la contraddistingue.

Intanto nei miei giri sono arrivato a Sturno. Buona visione.

Anche il cane di Vittorio voleva essere protagonista!

Dissacrante come solo un cane può essere, così anche “Bimba” il cagnolone di Vittorio ha gradito il mio libro. E posso affermare con contezza che le è piaciuto veramente, perché lo ha divorato tutto…. Della prima all’ultima pagina. Solo Vittorio poteva avere un cane così. E poi qualcuno si chiede ancora come mai Vittorio sia uno dei protagonisti del mio libro. Ma la vera domanda è : come avrei potuto tenere fuori dai racconti dell’irpinia in bicicletta un personaggio così?

Vabbè, non vi anticipo altro. Leggete il libro e poi ne parliamo.

L’Agente della Terra di Mezzo lo trovi in tutte le librerie, fisiche ed on line!

https://www.lafeltrinelli.it/agente-della-terra-di-mezzo-libro-giuseppe-tecce/e/9788833237299?lgw_code=50948-B9788833237299&awaid=9507&gclid=Cj0KCQjw6J-SBhCrARIsAH0yMZhADRVBXrumyEpvqdx3XIiHhMVeqeMkKNlryCvvEFqR6N1uAd1exp0aAreaEALw_wcB

Vittorio è uno dei protagonisti de L’agente della Terra di Mezzo

Vittorio, che dopo la morte dei genitori è ritornato a vivere nella sua terra nativa, cioè a Dentecane, ha la faccia di un attore. Ma non solo la faccia, anche la fisicità e le movenze. È alto e non più dritto, una faccia allungata e un sorriso sornione, incorniciato da una barba sempre appena incolta. Non ho mai capito come faccia ad averla sempre incolta allo stesso modo. Ci sarà pure un momento in cui la taglierà, e sarà sbarbato per qualche giorno. Forse in quei giorni non esce di casa? Chissà, questo resterà, per me, e per sempre uno dei grandi misteri di Vittorio.
E Vittorio, nonostante sia nostalgico delle giornate romane, delle esperienze al liceo, delle tournée fatte con la madre, sotto sotto è innamorato veramente dell’Irpinia. Non lo racconta spesso, ma ho saputo che il padre, che all’epoca era un luminare della scienza, spesso, facendosi accompagnare dell’autista, lo portava nella sua terra d’origine. E faceva bene, perché le radici restano sempre nello stesso posto, e ogni tanto, anche se si vive lontani, bisogna innaffiarle.

Le storie di Vittorio, di Nino, di Felicino, di Franco, dell’Osco Rabel, e tante altre ancora, le trovate nel libro del momento, il libro dell’Irpinia per eccellenza.
Si chiama “L’Agente della Terra di Mezzo”, scritto da me, edito da @bookabook_it .
E’ un libro che parla di territorio, d’Italia, di Irpinia di considerazioni fatte pedalando su una mountain bike, della Via Appia, e di tanto tanto altro ancora.
Un libro che non deve mancare in nessuna libreria moderna.

La solidarietà non conosce confini!

Anche la nostra Cooperativa Sociale Medina sta contribuendo ad aiutare i profughi ucraini in fuga dalla guerra.
Grazie all’instancabile impegno dell’amica e socia, Vira, anche Taurasi accoglie.
Una mamma coraggiosa, con tre figli, un marito in guerra, è partita da Zaporizhzhia guidando una macchina. Il suo unico obiettivo era salvare i figli. La decisione l’ha presa quando un missile è finito a 150 mt da casa sua. Aveva la patente da soli 5 mesi, ma ha guidato per giorni, prima fino alla frontiera della Polonia, poi fino in Italia, poi ha attraversato tutto lo stivale, arrivando fino a Taurasi, dove hanno trovato una casa aperta ed il cuore grande dell’irpinia.
Bravi.

Dove è finito il nostro sistema di accoglienza che faceva invidia al mondo intero?

L’italia aveva creato un sistema di accoglienza che era all’avanguardia, fino a quando non arrivò un omino piccolo piccolo e cattivo che distrusse quanto di buono era stato fatto (salvini).
Ora, però, che arrivano gli Ucraini peseranno moltissimo le carenze di un sistema di accoglienza che è stato smantellato.
Già ora, che il numero dei profughi è piuttosto limitato, si evidenziano problemi notevoli.
Le famiglie che arrivano sono perlopiù famiglie monoparentali: una madre con i figli (il padre normalmente è in guerra). I figli possono andare a scuola… E qui casca l’asino.
Senza un servizio di mediazione come possono accedere ai servizi scolastici?
Così cominciamo a vedere maestre alle prese con Google traduttore, genitori che cercano di fare del loro meglio… Ma fino a quando potrà durare tutto questo?
Fare l’accoglienza è un mestiere. Non basta avere un buon cuore. Occorrono competenze ed organizzazione.
Se l’italia vuole accogliere queste persone, lo deve fare accollandosi l’onere di sostenerli lungo tutto il percorso di permanenza, oppure è meglio che non lo faccia proprio.
Per favore, siamo stanchi delle solite cose organizzate a cacchio.

Elogio della diversità

Spesso rimango sbalordito e senza parole, per l’omologazione delle persone e di ciò che potenzialmente potrebbero esprimere. Omologazione, ovviamente, la cui asticella viene costantemente spostata verso il basso, quasi come se essere tutti uniformemente uguali fosse una prerogativa delle società moderne.

Così ti capita di accedere ai social network e di guardare quell’applicazione nella quale l’artificiosa uguaglianza assume proporzioni inumane:  instagram. E’ in questo luogo che donne di diverse etnie ed estrazioni sociali, sono tutte costantemente uguali a se stesse. Una sorta di stereotipo da clonare in quante più copie possibile. Labbra artificiosamente carnose su un corpo sempre ben scolpito e con seni sodi e prominenti, in pose sempre uguali ed ostentando un benessere che, il più delle volte, è artificiosamente ricreato. Lo stesso, ovviamente, vale, per il principio della uguaglianza dei generi, anche per gli uomini, tutti aggrappati allo stesso clichè, dell’uomo muscoloso, con lo stesso taglio di capelli e l’identica barba incolta, come non tagliata da 4 o 5 giorni.

Ma la società dell’uguaglianza artificiosa , una sorta di comunismo ante litteram, che, però, non esalta l’uomo, ma lo appiattisce su posizioni basse, a livello dei puri istinti, quelli determinati dal cervello rettile, non si esaurisce nell’applicazione dell’apparire. Altre forme di sterile eguaglianza le ritroviamo inoltre nei social, come tik tok, dove improbabili ballerine o ballerini, si cimentano negli stessi passi di danza, come se fuoriuscire da quegli schemi precostituiti fosse cosa sacrilega. Oppure in facebook, dove l’uguaglianza , spesso, trova la sua forma più bassa di appiattimento, nel concetto di odio, che trova la sua massima espressione nei cosiddetti odiatori seriali, ossia quei leoni da tastiera, che, per motivazioni non ancora ben note, sputano fiamme e fuoco su chiunque gli capiti a tiro.

Questo stereotipo della falsa uguaglianza la troviamo anche per strada, quando capita di essere testimoni, spesso inermi, di attacchi a persone che, per ragioni svariate, possono apparire diverse dagli imposti luoghi comuni, assistendo ad attacchi, fisici, o per lo più verbali, nei confronti di omosessuali o esseri appartenenti ad un credo religioso minoritario nella nostra società.

L’ultima forma di appiattimento è anche quella culturale che spinge alcune persone ad inseguire una ricerca del parlato che è la clonazione dell’italiano licenziato dai Lincei o dalle accademie preposte. Per carità, questa è la forma meno deplorevole di appiattimento ed anche quella culturalmente più elevata, ma è pur sempre espressione di una pressione mediatica e culturale che ci vorrebbe tutti uguali, tutti facilmente gestibili con le stesse parole chiave, o con gli stessi hasthag.

L’elogio della diversità è, oggi, quanto mai necessario, come forma di affermazione sia del singolo essere umano quale rappresentazione unica ed inimitabile dell’intero Universo, sia delle diverse forme sociali da essi creati. Così mi capita spesso di sognare un mondo dove la moda non sia dettata dai soliti volti noti, ma sia lasciata al libero arbitrio delle persone, lasciandole libere di accostare audacemente i colori più disparati, dove l’omosessuale, il trans gender siano visti come persone, uniche ed irripetibili, e non giudicate per ciò che riguarda la propria sfera sessuale, dove ciascuno sia libero di parlare l’italiano con la propria inflessione territoriale, perché i dialetti, che rispecchiano un mondo locale, sono essi stessi cultura.

La diversità è ricchezza, prendiamoci sempre cura di essere diversi, tutti i giorni!

Dove siamo stati per 8 anni. Come rispondere alla propaganda di guerra del Cremlino

La campagna informativa per giustificare l’attacco della Russia all’Ucraina utilizza una serie consolidata di cliché di propaganda: dalla domanda “dov’eri per 8 anni?” e sostituzione della parola “guerra” con il termine “operazione militare speciale” con storie sulla “liberazione dell’Ucraina”, “tempo di volo verso Mosca” e “armi biologiche”. Molti russi evitano semplicemente di comunicare con i propri cari che ripetono i cliché della TV. The Insider offre controargomentazioni brevi e chiare contro le narrazioni di propaganda mainstream.

“Dove sei stato per 8 anni?”

La domanda “dov’eri per 8 anni?” è apparso in risposta alle dichiarazioni contro la guerra sui social network e gradualmente si è trasformato in una delle tesi più popolari della propaganda di stato. Si riduce alla seguente affermazione: tutti coloro che ora si oppongono alla guerra non si sono accorti di come la guerra stesse andando avanti nel Donbas per 8 anni e i civili venissero uccisi.

In effetti, gli attuali oppositori della guerra ricordano molto bene dove si trovavano 8 anni fa: nel 2014 hanno tenuto “Marce per la pace”, chiedendo al Cremlino di fermare l’intervento militare negli affari dell’Ucraina, anche in Crimea e Donbass. Tra gli organizzatori di azioni di massa c’erano, ad esempio, Boris Nemtsov (ucciso) e Alexei Navalny (avvelenato e poi imprigionato).

Le “marce per la pace” non sono riuscite a prevenire l’aggressione russa. Dopo l’apparizione nel Donbass di militanti guidati dal colonnello in pensione dell’FSB Igor Strelkov (Girkin), e poi dalle truppe regolari della Federazione Russa, iniziò un sanguinoso massacro. In quelle città delle regioni di Donetsk e Luhansk dove i separatisti non sono arrivati ​​​​(ad esempio Mariupol), la vita è rimasta pacifica e calma e le autoproclamate repubbliche popolari di Donetsk e Lugansk sono precipitate nella violenza e nella resa dei conti criminale.

Il 90% delle morti di civili nel Donbass nel conflitto si è verificato nel 2014-2015, quando il Cremlino ha inviato mercenari di compagnie militari private e talvolta intere unità militari , in particolare personale militare della 53a brigata missilistica antiaerea di Kursk, alla zona di conflitto. Una squadra investigativa internazionale ha concluso che la brigata era responsabile della morte di un Boeing passeggeri della Malaysian Airlines nel cielo sopra la regione.

In tutti questi 8 anni, Vladimir Putin ha costantemente rifiutato le proposte di inviare forze di pace nel Donbass sotto gli auspici delle Nazioni Unite. Dal 2016 le ostilità sono progressivamente svanite, il conflitto ha di fatto acquisito lo status di “congelato”. E improvvisamente, il presidente della Russia ha deciso di “salvare” il Donbass, dopo di che, nel giro di poche settimane, il numero di vittime tra i civili in Ucraina ha superato il numero di morti negli stessi famigerati 8 anni.

“Non ci restava alcuna possibilità di fare altrimenti”

Vladimir Putin ha pronunciato questa frase in un incontro con i rappresentanti della comunità imprenditoriale subito dopo l’inizio della guerra:Quello che sta succedendo è una misura necessaria: 

semplicemente non hanno lasciato alcuna possibilità di fare diversamente. I rischi per la sicurezza si sono creati in modo tale che era impossibile rispondere con altri mezzi.

Approssimativamente la stessa idea che Putin ha cercato di trasmettere al pubblico proprio nel discorso in connessione con l’attacco all’Ucraina:Semplicemente a te e a me 

non è stata lasciata alcuna altra opportunità per proteggere la Russia, il nostro popolo, tranne quella che saremo costretti a sfruttare oggi.

La dichiarazione è apparsa immediatamente sui cartelloni pubblicitari, in una campagna all’aperto, sui media del Cremlino. L’argomento nello spirito del “non ci è rimasta scelta” viene ripetuto dai funzionari e trasmesso sui social network. Lo stesso argomento è stato avanzato da Alexander Lukashenko, solo nella sua interpretazione l’Ucraina ha costretto la Bielorussia a difendersi.

Gli spettatori dei canali televisivi statali dovrebbero considerare se gli sembri strano che l’esercito ucraino, modesto sotto tutti gli aspetti, abbia deciso di passare all’offensiva contro la Russia (e allo stesso tempo la Bielorussia) proprio nel momento in cui Mosca ha tirato 200.000 soldati al confini dell’Ucraina? E se la minaccia era così grave, allora perché, nei giorni precedenti la guerra, funzionari e propagandisti russi hanno negato e “deriso” le fughe di notizie sui media occidentali su un imminente attacco all’Ucraina in ogni modo possibile?

In pratica, gli aggressori amano molto attribuire al nemico l’intenzione di iniziare o provocare una guerra, anche nei casi in cui la differenza di potenza militare renda ridicole queste scuse. Ad esempio, prima dell’invasione della Polonia, i nazisti organizzarono una provocazione simulando un attacco a una stazione radio tedesca a Gleiwitz, a cui presero parte uomini delle SS che parlavano correntemente il polacco (è curioso che la propaganda russa pochi giorni prima della guerra con L’Ucraina ha strombazzato sul tentativo di alcuni sabotatori di far saltare in aria i contenitori con il cloro, e presumibilmente parlavano anche polacco ).

Da: http://www.theins.ru

24 giorni

Da ormai 24 giorni leggo e ascolto gli argomenti di quanti cercano di relativizzare le responsabilità russe nella guerra. Chiamati a dire la loro con una dovizia di spazi da par condicio di guerra che fatico a condividere, utilizzano ogni arma retorica, richiamo storico o macchia del paese invaso con lo stesso entusiasmo di guastatori fino a pochi giorni fa mostrato dai vari no vax o no pass che presidiavano le stesse trincee polemiche, con analogo spazio a disposizione.
Anche il meccanismo argomentativo quasi sempre è identico: la quasi totalità dei leader, dei parlamenti e delle opinioni pubbliche dell’Occidente ha una posizione convergente nella condanna alla Russia (così come ce l’aveva nella lotta al Covid), e questa è la prova che si vuole imporre un pensiero unico, a cui i creduloni prestano fede, il mainstream si uniforma e l’informazione di regime si allinea. Ma loro, sentinelle della libertà, non se la bevono. La verità è ben altra. E quindi via con le guerre americane, le armi vendute sottobanco, le eroiche lotte di un Donbass indomito contro i nazisti, il golpe del 2014, le mire della Nato, l’attore costruito presidente coi miliardi dei nemici della pace, e via argomentando e scopiazzando.
Chi studia la storia sa che per ogni guerra si può trovare un pretesto o una motivazione, dal ratto di Elena alle riparazioni tedesche. Ma anche che c’è una verità incontrovertibile: quando una guerra inizia con l’invasione di un paese libero da parte del suo vicino non c’è sofisma o distinguo che tenga per chi crede alla democrazia. La parte giusta è quella dell’Ucraina, e la responsabilità è tutta di Putin.

Il nuovo video di Zemphira contro la guerra

Anche il popolo russo non se la passa bene. Chi ha ancora la facoltà di usare il cervello, e un po di disponibilità economiche, ha già lasciato la Russia. Come la mia cantante preferita. Si chiama Zemphira ed ha appena rilasciato un video contro la guerra. È chiaro che non potrà più tornare nella sua terra… Almeno fino a quando Putin sarà lì!

Ascoltatela

L’uomo che viaggiò in Unione Sovietica per 85000 km

Andare in bicicletta per 85.000 chilometri lungo i confini dell’Unione Sovietica è una follia che solo una persona nella storia ha osato fare.
Gleb Travin. Se fosse successo negli Stati Uniti, molto tempo fa sarebbero stati girati una dozzina di film su di lui, ma il destino si è sviluppato in modo tale che ora il suo nome è praticamente dimenticato. Travin sognava di viaggiare in tutto il mondo. Si rese conto che i comunisti non gli avrebbero permesso di lasciare il paese, quindi Gleb cambiò i suoi piani e decise di aggirare i confini dell’Unione Sovietica. Nei successivi 2 anni, prima della partenza, Gleb Travin non solo ha migliorato le sue capacità di sopravvivenza in natura, ma ha anche pedalato per migliaia di chilometri con qualsiasi tempo, studiò gli oggetti necessari per un lungo viaggio. Geografia, biologia e persino impianti idraulici: dopotutto, non puoi riparare una bicicletta con la conoscenza dei continenti e degli oceani. Nell’ottobre 1928, lasciò Vladivostok, raggiunse Khabarovsk e svoltò a ovest lungo la ferrovia transiberiana fino al lago Baikal. Da Novosibirsk ha pedalato a sud verso i deserti e le montagne del Kazakistan, dell’Uzbekistan, del Tagikistan, del Turkmenistan. In viaggio con se ha portato una fotocamera Kodak, un diario, vestiti invernali, medicinali e gli strumenti necessari. Dal cibo: solo sette libbre di biscotti pressati e un chilogrammo di cioccolato. Pedalava almeno otto-dieci ore, cibo e acqua due volte al giorno – alle sei del mattino e alle sei di sera. Mangiava quello che riusciva a procurarsi cacciando e pescando, dormiva esattamente dove lo trovava la notte, sulla terra nuda, mettendosi una giacca piegata sotto la testa. Raggiunse il Mar Caspio, lo attraversò su una nave, attraversò il Caucaso e raggiunse la parte europea del paese. Travin ricordava questo tratto come una piacevole passeggiata. Nel novembre 1929, il viaggiatore raggiunse Murmansk. Da lì iniziò un segmento del sentiero, che percorse lungo la costa dell’Oceano Artico e parte del sentiero, proprio sulla sua superficie liscia e ghiacciata. In una notte Travin si è congelato i piedi e si è amputato le dita dei piedi da solo.

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